«Fallimento istituzionale e sistemico» e Chiesa giunta «ad un punto morto». Sono questi, fra gli altri, i cardini dell’avvio della riflessione offerta dal card. Reinhardt Marx, dimissionario arcivescovo di Monaco e Frisinga ed ex presidente della Conferenza episcopale tedesca. Che aprono domande e tradiscono una crisi profonda, anche personale.
Un po’ Pasqua di Resurrezione e un po’ Nietzsche. Da anni, da queste pagine e da altre ben più autorevoli, si richiama l’attenzione sulla pericolosa parabola discendente che caratterizza la Chiesa in Germania.
Il card. Marx cita, insieme ad altre ragioni che lo hanno condotto alla scelta, quanto emerso a suo tempo dal Progetto scientifico (Studio MHG) sull’abuso sessuale sui minori commissionato dalla Conferenza episcopale tedesca. Si tratta dello studio intitolato “Abuso sessuale di minori da parte di sacerdoti cattolici, diaconi e religiosi di sesso maschile nella giurisdizione della Conferenza Episcopale Tedesca”, che risale, però, almeno al 2018 e si riferisce ad un lasso di tempo dal 1946 al 2014. Non certo una novità.
Colpisce la vicinanza cronologica fra la lettera di dimissioni di Marx, datata 21 maggio 2021 e diffusa nelle scorse ore, e l’inasprimento della normativa contro chi commette reati economici e di pedofilia stabilito da papa Francesco con la costituzione apostolica Pascite gregem Dei (Pascete il gregge di Dio) del 23 maggio 2021, con la quale ha emanato il nuovo Libro VI del Codice di diritto canonico, contenente la normativa sulle sanzioni penali nella Chiesa, che ha riacceso l’attenzione mediatica sulla questione abusi.
Invoca sinodalità, il card. Marx. Chiaro il riferimento al cammino sinodale da tempo intrapreso dalla Chiesa cattolica in Germania, che l’ha però finora condotta a misurarsi – anche mediaticamente, e non solo per responsabilità di giornalisti e comunicatori – più che con le responsabilità dei suoi membri in tema di abusi e connivenze, con tutt’altro: dall’ordinazione presbiterale delle donne alla benedizione delle unioni omosessuali. Con vescovi e preti tedeschi pronti ad immolarsi nella dissidenza contro Roma su rivendicazioni, si vede bene, che costituiscono ben altro che quel «punto di svolta per uscire da questa crisi» invocato da Marx nella sua lettera.
Tanto più che dai vertici della Chiesa non sono mancate reazioni, attraverso più d’uno di quei «documenti romani», come li ha definiti il successore di Marx alla presidenza della Conferenza episcopale tedesca, mons. Bätzing: non ultimo, il celebre Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma una certa preoccupazione, più o meno velata, è trapelata anche dalle parole dello stesso Santo Padre. Freni posti, si badi, non allo stile sinodale – più volte benedetto, anche per l’Italia, da papa Francesco – ma alla via, apparentemente univoca, tortuosamente imboccata in Germania. Presunte soluzioni che rischiano di aggravare, invece di curarlo, il malessere che affligge la Chiesa.
Perché una cosa sono abusi e malaffare, un’altra gli scandali che questi producono. Così come due, e ben diverse, sono le crisi che vive la Chiesa, non solo in Germania.
Da anni, infatti, ci si ostina a ritenere gli abusi, specie sui minori, così come il grave malaffare, anche sessuale, di alcuni membri del clero e rappresentanti della Chiesa come una causa della crisi della Chiesa stessa. Abusi e malaffare sono, invece, conseguenza di una profondissima crisi della Chiesa: crisi spirituale e antropologica negli uomini e nelle donne che la compongono, che non intacca la natura divina della Chiesa, bensì è propria di una parte della sua componente umana. Lo ha spiegato molto bene papa Francesco in occasione dell’ultima solennità di Pentecoste: «La Chiesa non è un’organizzazione umana – è umana, ma non è solo un’organizzazione umana –, la Chiesa è il tempio dello Spirito Santo. Gesù ha portato il fuoco dello Spirito sulla terra e la Chiesa si riforma con l’unzione, la gratuità dell’unzione della grazia, con la forza della preghiera, con la gioia della missione, con la bellezza disarmante della povertà. Mettiamo Dio al primo posto!».
Ad abusi e malaffare si legano poi direttamente, com’è ovvio, i cosiddetti “scandali”, prepotentemente entrati nell’orizzonte e nel vocabolario giornalistico, e non solo. Questi sì, specie per i silenzi e le connivenze emerse, hanno prodotto un altro tipo di crisi nella Chiesa, prevalentemente (ma non solo) “quantitativa” e “di immagine”, in seguito alle naturali, comprensibili – e per certi versi auspicabili – reazioni di rabbia, sconcerto e sbandamento nei fedeli. È la “crisi” cui fa riferimento Marx nella propria lettera di dimissioni: «Avverto con dolore quanto sia scemata la stima nei confronti dei vescovi nella percezione ecclesiastica e secolare, anzi, probabilmente essa ha raggiunto il suo punto più basso», scrive. Ma gli scandali vengono solo dopo i crimini – una puntualizzazione tutt’altro che stilistica – e sono riconducibili per lo più ad una gestione rivelatasi sciagurata di atti di un’oggettiva e straordinaria gravità.
Amore e coraggio per la Verità, testimonianza di vita, evangelizzazione, formazione, conversione di sé. Assumendo sempre di più la forma del Vangelo, cioè di Gesù Cristo: soltanto riparando la Chiesa ferita – nel senso profondo che vi diede Francesco d’Assisi, e non di una aziendale opera di riforma e di ammodernamento, come troppo spesso si intende oggi – si potranno curare i mali che ne guastano dolorosamente le membra.
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