«Sul Cammino sinodale io scrissi una lettera, da solo l’ho fatta». Di cammini, alberi e sondaggi. Per una passeggiata nella natura – della Chiesa – sotto la guida dello Spirito.
Le risposte di papa Francesco alle domande dei giornalisti sull’aereo di rientro dal Canada offrono numerosi spunti di riflessione. Si è già detto su queste pagine del simbolismo dell’albero e della strada, in riferimento alla dottrina della Chiesa e ai popoli nativi vittime della colonizzazione, ma non meno interessante è il riferimento del Papa al documento indirizzato il 21 luglio scorso ai vescovi della Germania in merito al Cammino sinodale, senza firma e presentato come una non meglio definita Dichiarazione della Santa Sede.
Il volo fra Iqaluit e Roma aggiunge nuovi dettagli alla vicenda. «Prima di tutto, quel comunicato lo ha fatto la Segreteria di Stato», spiega papa Francesco. «È stato uno sbaglio non firmare come Segreteria di Stato, ma uno sbaglio di ufficio, non di cattiva volontà». Un’omissione che ricorda quella della Nota inviata quasi due anni fa, come allegato e senza firma, ai nunzi apostolici. Allora lo scopo era offrire «alcuni elementi utili, nel desiderio di favorire, per Sua (di papa Francesco, ndr) disposizione, un’adeguata comprensione delle parole del Santo Padre» dopo le fumose dichiarazioni raccolte nel documentario “Francesco” del regista Evgeny Afineevsky riguardo alla questione omosessuale, alle famiglie e unioni civili fra persone dello stesso sesso. Anche allora la paternità del documento era stata ricondotta alla Segreteria di Stato.
Quello che dovevo dire sul Cammino sinodale
Ben più significativo per la vita della Chiesa, però, è il riferimento di papa Francesco ad un suo precedente intervento sulla via sinodale teutonica. «Sul cammino sinodale io scrissi una lettera – da solo l’ho fatta, un mese con preghiera, riflessione, consultazioni –, e ho detto tutto quello che dovevo dire sul Cammino sinodale, più di quello non dirò. Quello è il Magistero papale sul Cammino sinodale, quella lettera che scrissi due [tre] anni fa», spiega il Papa. «Ho scavalcato la Curia, perché non ho fatto consultazioni, niente. Ho fatto come un cammino mio, anche come pastore per una Chiesa che sta cercando un cammino, come fratello, come padre, come credente, l’ho fatto così. E questo è il mio messaggio. So che non è facile, ma lì è tutto, in quella lettera».
La lettera in questione è un corposo e bel testo destinato al Popolo di Dio che è in cammino in Germania ma che, al di là della vicenda tedesca, è un insegnamento realmente magisteriale sulla natura della Chiesa. Ma cosa scrive il Papa in quella lettera ancora oggi richiamata?
Unità del corpo (e dell’albero)
Anzitutto, come già osservato su queste pagine, elemento discriminante, per dirla con le parole di papa Francesco durante la conferenza stampa di rientro dal Canada, è che ricerca teologica e dibattito avvengano, alla maniera della “riparazione” del Santo di Assisi, dentro la Chiesa, «in senso ecclesiale, non fuori» da essa. E, infatti, nella lettera ai cattolici tedeschi sono numerosi i riferimenti all’unità della Chiesa, al «saperci costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno», al «gusto di sentirci parte del santo e paziente Popolo fedele di Dio», vigilando contro la «tentazione del padre della menzogna e della divisione, al maestro della separazione che, spronando a cercare un apparente bene o risposta a una determinata situazione, finisce col frammentare».
L’accostamento, ricorrente anche durante il viaggio apostolico in Canada, è con l’albero, «che, congiunto alla terra dalle radici, dà ossigeno attraverso le foglie e ci nutre con i suoi frutti». Perché, secondo la prospettiva che fu anche del Concilio Vaticano II, «la Chiesa universale vive in e delle Chiese particolari – scrive papa Francesco nella lettera ai cattolici tedeschi – così come le Chiese particolari vivono e fioriscono in e dalla Chiesa universale, e se si ritrovano separate dall’intero corpo ecclesiale, si debilitano, marciscono e muoiono». Destino di un ramo che scegliesse di staccarsi dal resto vitale dell’albero nell’illusione, forse, di poter essere talea di novità.
Chiesa in cammino
Rassegnazione e immobilità come rifiuto del movimento, dunque? Tutt’altro. Perché altra immagine ricorrente in Canada è quella di una Chiesa in cammino, in cui «la tradizione è proprio la radice di ispirazione per andare avanti». Radice di una Chiesa non vagabonda, bensì pellegrina. C’è differenza? Molta. Quella che passa fra un andare caotico, individuale e senza memoria, e invece un cammino comune e comunitario, consapevole di un’origine e di una meta. È così che nella lettera ai cattolici tedeschi papa Francesco fa insistentemente riferimento al «camminare insieme e con tutta la Chiesa», al «camminare insieme con pazienza», alla necessità che «come corpo apostolico camminiamo e camminiamo insieme, ascoltandoci a vicenda sotto la guida dello Spirito Santo, anche se non la pensiamo allo stesso modo». Si tratta, in fondo, dell’«umile e sana convinzione che non potremo mai rispondere contemporaneamente a tutte le domande e i problemi. La Chiesa è e sarà sempre pellegrina nella storia, portatrice di un tesoro in vasi di creta (cfr. 2 Cor 4, 7). Ciò ci ricorda che non sarà mai perfetta in questo mondo e che la sua vitalità e la sua bellezza stanno nel tesoro del quale è costitutivamente portatrice».
Incamminarsi sì, ma partendo da dove? Sicuramente anche dalla presa d’atto della realtà del nostro tempo, con il male e il bene che vi crescono frammisti. «Desidero avvicinarmi e condividere la vostra preoccupazione riguardo al futuro della Chiesa in Germania», scrive papa Francesco nella lettera ai cattolici tedeschi. «Consapevole che non viviamo solo un tempo di cambiamenti ma un cambiamento di tempo che risveglia nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi». Impossibile, infatti, non «constatare la crescente erosione e il decadimento della fede con tutto ciò che questo comporta a livello non solo spirituale, ma anche sociale e culturale» anche in aree storicamente di vivace presenza cristiana.
Cammino sinodale
Ed è nella sinodalità che movimento, ecclesialità e presa d’atto della realtà si incontrano. «Per affrontare questa situazione, i vostri pastori hanno suggerito un cammino sinodale», prosegue il Pontefice nella lettera ai cattolici tedeschi. «Che cosa significa in concreto e come si svilupperà è qualcosa che indubbiamente si sta ancora considerando». Con esiti che, a tre anni di distanza dalla lettera, suscitano dubbi legittimi, tanto nel Papa quanto in personalità tutt’altro che “conservatrici” come il card. Walter Kasper.
Dubbi, anzitutto, sul navigatore – per così dire – scelto per orientare il cammino. Nella lettera papa Francesco mette in guardia da «risoluzioni sincretiste di “buon consenso” o risultanti dall’elaborazione di censimenti o indagini su questo o quell’altro tema», così come dai «ricorrenti schemi e meccanismi che finiranno col snaturare o limitare la nostra missione».
Unico esito possibile, con questi presupposti, è infatti quello «molto riduttivo» di «un cambiamento strutturale, organizzativo o funzionale», con il risultato di avere forsanche «un buon corpo ecclesiale ben organizzato e persino “modernizzato”, ma senza anima e novità evangelica». Perché, scrive ancora il Papa, «alla base di questa tentazione c’è il pensare che, di fronte a tanti problemi e carenze, la risposta migliore sarebbe riorganizzare le cose, fare cambiamenti e specialmente “rammendi” che consentano di mettere in ordine e in sintonia la vita della Chiesa adattandola alla logica presente o a quella di un gruppo particolare». Di una lobby, delle troppe che viziano e feriscono il corpo della Chiesa.
Missione e mercato
Consapevoli della natura missionaria della Chiesa, di Chiesa in uscita, «lo scenario presente non ha il diritto di farci perdere di vista il fatto che la nostra missione non poggia su previsioni, calcoli o indagini ambientali incoraggianti o scoraggianti, né a livello ecclesiale, né a livello politico o economico o sociale. E neanche sui risultati positivi dei nostri piani pastorali». Che troppo spesso corrono il rischio di assomigliare a strategie aziendali e di brand repositioning sul mercato del gradimento. «L’evangelizzazione […] non è una tattica di riposizionamento ecclesiale nel mondo di oggi o un atto di conquista, dominio o espansione territoriale; non è neppure un “ritocco” che l’adatta allo spirito del tempo, ma che le fa perdere la sua originalità e profezia». A vantaggio, magari, di presunti esperti, di magici pifferai della modernità, di «quell’antica e sempre nuova tentazione dei promotori dello gnosticismo che, volendo farsi un nome proprio e diffondere la loro dottrina e fama, cercavano di dire sempre qualcosa di nuovo e di diverso da quello che la Parola di Dio donava loro». È il ritratto dell’«innovatore (2 Gv, 5.9), il quale pretende di andare al di là del noi ecclesiale che preserva dagli eccessi che attentano alla comunità».
La sensazione, statistiche alla mano, è infatti che il Cammino sinodale in corso in Germania non sia stato in grado, almeno finora, di arginare l’emorragia di fedeli. Ma che, anzi, sia piuttosto risultato controproducente. «Non siamo giustificati dalle nostre opere o dai nostri sforzi, ma dalla grazia del Signore che prende l’iniziativa. Senza questa dimensione teologale – torna a scrivere papa Francesco nella lettera ai cattolici tedeschi – nelle diverse innovazioni e proposte che si realizzeranno, ripeteremo ciò che oggi sta impedendo, alla comunità ecclesiale, di annunciare l’amore misericordioso del Signore. Il modo in cui si affronterà la situazione attuale determinerà i frutti che si svilupperanno in seguito». Nella speranza che non siano quelli, inconsistenti, di un ramo disseccato. Un ostacolo lungo la strada in avanti.
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