La berretta rossa di Konrad Krajewski viene da lontano

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Quattordici nuovi cardinali, almeno un’illustre assenza della quale già si vocifera, ma ad aver attirato l’attenzione dei media è soprattutto il nome di Konrad Krajewski, 54 anni, elemosiniere di Sua Santità. Vicino ai clochard, ma noto anche per il supporto alle iniziative di svago offerte da Francesco ai poveri di Roma, su tutte quelle circensi. Che sarebbero piaciute anche a Pio XII e a Giovanni XXIII.

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La nuova infornata di cardinali voluta da Francesco risponde pienamente ai valori al centro del suo pontificato, più volte riproposti in forme diverse: la cura dell’ambiente come “casa comune” (con il peruviano Barreto Jimeno, simbolo dell’impegno per la foresta amazzonica e i suoi popoli), la riaffermazione del diritto al lavoro (con il boliviano Toribio Ticona, vescovo tra i minatori), l’attenzione agli ultimi e agli “scartati”. Attorno a quest’ultima categoria, in particolare, si è concentrata l’attenzione di buona parte dei media e un nome si è imposto su tutti: quello di mons. Konrad Krajewski, 54 anni, dall’agosto 2013 elemosiniere di Sua Santità.

Un ruolo che negli anni lo ha spesso condotto sotto i riflettori insieme al Pontefice per iniziative che hanno stupito l’opinione pubblica: docce e barberia per i clochard sotto al colonnato di San Pietro, ambulatori mobili per la cura dei senza fissa dimora, distribuzione di cibo e sacchi a pelo nelle stazioni e la messa a disposizione delle auto del Vaticano come rifugio nelle notti più fredde, l’accoglienza garantita alle famiglie di rifugiati siriani (anche nel suo stesso appartamento), l’affitto di una spiaggia accessibile ai disabili, tessere telefoniche per gli immigrati stranieri, aiuti ai terremotati e momenti di svago circense offerti ai poveri.

Proprio questi ultimi hanno particolarmente colpito l’immaginario pubblico, perché non è immediato il legame fra il soccorso ai poveri e un aiuto che non sia materiale. Eppure nella Chiesa l’importanza di un sano divertimento, anche nella forma dello spettacolo circense, viene da lontano. Almeno da Pio XII.

È il 4 agosto 1953 quando papa Pacelli, già intervenuto l’anno precedente sulla necessità di occuparsi dal punto di vista pastorale anche dei circensi, incontra a Castel Gandolfo una delegazione di addetti allo spettacolo viaggiante. A loro manifesta l’auspicio che la loro professione «sia sempre apportatrice di gioia sana, di onesto divertimento, per una vita serena nella grazia di Dio».

Il ghiaccio è rotto e ad approfittarne è Giovanni XXIII, che nel 1958 riceve in udienza una rappresentanza di 250 artisti ed operai del Circo Orlando Orfei, come tante volte aveva già fatto da patriarca di Venezia con le famiglie del luna park di Riva degli Schiavoni. L’episodio, divenuto ancora più celebre grazie ad una copertina della Domenica del Corriere illustrata da Walter Molino, segna una svolta nella storia del rapporto, a tratti complesso, fra la Chiesa e lo spettacolo viaggiante.

La strada imboccata da Giovanni XXIII, secondo il quale lo spettacolo viaggiante è «elemento di pace interiore», è percorsa anche da Paolo VI. Ancora nel febbraio 1978, a pochi mesi dalla morte, papa Montini dichiara di sentirsi «paternamente vicino al singolare lavoro di circo», che tanto bene incarna gioia e precarietà della vita umana, per natura «pellegrina».

Numerose si confermano le occasioni di incontro di Giovanni Paolo II con il mondo del circo e del luna park, tanto da giungere a riconoscere «sotto la forma del gioco, […] le vere virtù umane», per le diffuse «qualità della pazienza, del coraggio, del senso del rischio misurato, del gioco collettivo». Ancora più concretamente, si rinsalda il ruolo sociale dello spettacolo, per la «capacità di illuminare per un istante lo sguardo disperato di una persona sola e […] rendere gli uomini più vicini gli uni agli altri». Di fronte alla crescente affermazione dell’individualismo nella società, non sfugge al Santo Padre la condizione dei circensi, «compagni attenti, riconciliati con i loro corpi e persino con gli animali».

Una dimensione che acquista nuovo slancio durante il pontificato di Benedetto XVI. La Chiesa universale, «che condivide il cammino» con la gente del circo, la invita a «partecipare alla sua missione divina attraverso il lavoro quotidiano». Un accostamento impensabile fino a pochi decenni prima e confermato in questi ultimi anni dalla via pulchritudinis – la via della bellezza, della gioia e del sano divertimento – percorsa da Francesco insieme agli ultimi. La stessa di Gelsomina nel “La strada” di Fellini, «che con la sua umiltà, il suo lavoro itinerante del bello, è riuscita ad ammorbidire il cuore duro di un uomo che aveva dimenticato come si piange». E la medesima anche di mons. Konrad Krajewski, nuovo cardinale.

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