Disaffezione, se non proprio un esplicito malumore. È lo scenario che accomuna il presidente statunitense Joe Biden e la Chiesa cattolica, soprattutto in Germania. Due mondi distanti, eppure con più di una coincidenza.
I numeri ufficiali diffusi dalla Chiesa cattolica in Germania parlano chiaro, e da anni: il 2021 è stato un altro anno di crisi, con una pandemia e una Kirchensteuer (tassa sulle religioni) che ormai giustificano sempre meno il tracollo di clero e fedeli. Perché se, ad esempio, per colpa del Covid nel 2021 ha frequentato la messa domenicale solo il 4,3% dei cattolici tedeschi, è pur vero che nel 2020 erano il 5,9% e prima della pandemia già solo il 9,3%. E come spiegare solo con tasse e pandemia i quasi 360 mila (ex) fedeli che hanno formalmente lasciato la Chiesa cattolica lo scorso anno (nel 2020 erano stati poco più di 221 mila e l’anno precedente oltre 272 mila)? Oppure, ancora, l’ulteriore calo dei sacerdoti (sono 12.280 nel 2021, erano 12.565 nel 2020)? Certo, il numero dei matrimoni in chiesa è quasi raddoppiato (oltre 20 mila, contro gli 11 mila del 2020) e sono aumentati battesimi (142 mila, contro i 104 mila del 2020) e prime comunioni (156 mila invece delle poco meno di 140 mila dell’anno precedente), ma è sotto gli occhi di tutti che la disaffezione, se non un vero e proprio abbandono, riguarda soprattutto i giovani.
Guai d’Oltreoceano e lifting
Qualcosa di simile accade in un contesto molto diverso dalla Chiesa cattolica in Germania: l’amministrazione Biden. Di errore in gaffe, la popolarità del Presidente Usa è ai minimi, con un indice di gradimento fra gli elettori democratici che si ferma ad un misero 33%, secondo un sondaggio pubblicato dal New York Times. E se i giovani percepiscono la Chiesa cattolica come un’istituzione da museo, non va meglio a Joe Biden se è vero che il 94% degli elettori dem con meno di 30 anni preferirebbe un altro candidato alla presidenza nel 2024. Una doccia fredda per il vulcanico Presidente, sempre attento a presentarsi con uno stile “giovane” – occhiali da sole aviator, jeans, giacca di pelle, auto sportive e bicicletta – che si scopre il solito “Sleepy Joe”, il “Sonnolento Joe”, com’era solito definirlo un Trump tutt’altro che migliore in fatto di stile (e gradimento nei sondaggi).
Perché a poco servono i restyling – per la Chiesa, papa Francesco aveva denunciato l’ipocrisia di un lifting soltanto superficiale – inseguendo mode e correnti del tempo. Il rischio, anzi, è di sortire effetti controproducenti. Perché a rendere così disastrosa la situazione della Chiesa cattolica, in Germania come altrove, è il grave deficit di credibilità, causato e a sua volta comprovato non soltanto dai reati di abuso e relative coperture, ma – fatti salvi i numerosi esempi di vera santità nella Chiesa – in un più ampio disordine di tipo sessuale, economico, personale e comunitario, con vere e proprie derive di collasso antropologico e spirituale in alcuni settori della Chiesa.
Che si sia messa a fuoco ancora soltanto una parte dei problemi (quella che, per certi versi, consente di non affrontarne molti altri) lo testimonia l’insistenza del presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing d’inoltrarsi lungo il dissestato cammino sinodale in chiave tedesca. «La partenza che stiamo compiendo con il cammino sinodale, a quanto pare, non è ancora arrivata a contatto con i credenti», commenta, dicendosi «profondamente scioccato» dai numeri che dà la Chiesa tedesca. E se, invece, fosse vero l’opposto e il risultato fosse ben lontano da quello sperato? «Gli scandali di cui dobbiamo lamentarci all’interno della Chiesa e di cui siamo in gran parte responsabili si riflettono nel numero di persone che se ne vanno. Dobbiamo dire addio all’idea che le chiese si riempiranno di nuovo o che il numero dei credenti aumenterà. Eppure sono convinto: il messaggio del Vangelo ha una forza che possiamo sviluppare e tradurre in vita con tutti coloro che appartengono alla Chiesa».
La Synodaler Weg di Joe Biden
Se la Chiesa cattolica in Germania, nonostante tutto, può ancora contare su una buona novella in tempi cupi, il cattolico Joe Biden si deve attrezzare come può con un proprio Synodaler Weg, inseguendo la popolarità lungo la strada dei cambiamenti del tempo. Con esiti simili a quelli tedeschi e tanto più con l’incubo midterm al prossimo 8 novembre, le elezioni di metà mandato che da sempre rappresentano un banco di prova per l’amministrazione in carica alla Casa Bianca.
Un assaggio si è avuto con la recente cerimonia di assegnazione delle medaglie presidenziali della libertà. Negli Stati Uniti attraversati dal feroce dibattito in tema di diritto alla vita dopo l’annullamento della sentenza Roe vs Wade, Biden si è preso una pausa con la prima infornata di onorificenze nel suo anno e mezzo di presidenza. Formalmente la medaglia presidenziale della libertà è un riconoscimento conferito dal presidente Usa paragonabile per importanza soltanto alla medaglia d’oro del Congresso, assegnato in virtù di speciali meriti a tutela della sicurezza o degli interessi degli Stati Uniti, della pace nel mondo, per la cultura o altra importante iniziativa pubblica o privata. Di fatto, salvo eccezioni, si tratta di un calibrato manifesto politico, una sintesi di valori, alleanze e opportunità ritenuti strategici dal presidente in carica. Lo stesso Biden, ancora vicepresidente, ha ricevuto a suo tempo tale onorificenza da Obama.
Ecco, quindi, che fra i 17 decorati con la medaglia presidenziale della libertà da Joe Biden spiccano i numerosi attivisti nel campo LGBT+ e pro-choice in tema di aborto, fra cui la calciatrice Megan Rapinoe, il politico repubblicano Alan Simpson e la democratica Gabrielle Giffords (favorevole altresì alla ricerca sulle cellule staminali, ma anche co-fondatrice di un’associazione contro la proliferazione delle armi). Non stupisce, se si considera che ancora recentemente Biden ha definito l’interruzione volontaria di gravidanza come «essenziale per la giustizia, l’uguaglianza, la salute, la sicurezza e il progresso della Nazione», riferendosi all’aborto come «assistenza sanitaria» e ai farmaci abortivi come «medicamenti». Una sorta di “valore non negoziabile” della sua amministrazione, che è «lasciato alla coscienza» del cattolico Presidente Usa. «Parli al suo pastore di questa incoerenza», suggerisce il Papa a Biden nell’ultima intervista per TelevisaUnivision. Saremmo curiosi di udire la risposta (e chi verrebbe scelto come interlocutore).
La via cattolica del Presidente Usa
Perché consistente – e in alcuni casi curiosamente sovrapponibile alla categoria precedente – è anche la presenza di cinque cattolici fra i decorati, inclusi la ginnasta olimpica e attivista per la salute mentale Simone Biles, la storica attivista per i diritti civili Diane Nash e il sindacalista e attivista per la giustizia sociale ed economica Richard Trumka (deceduto nel 2021). La presenza di un nutrito gruppo di cattolici non è da ricondursi semplicemente alla fede professata da Biden: anche solo guardando alla storia recente, spiccano i casi di Giovanni Paolo II, premiato nel 2004 durante la presidenza di George W. Bush, di madre Teresa di Calcutta, insignita nel 1985 da Reagan, così come pure dell’oggi controverso card. Joseph Bernardin, premiato da Clinton nel 1996. Meno noti il magistrato Antonin Scalia, l’ex quarterback Roger Staubach, la democratica Donna Shalala, il generale Peter Pace e il dottor Anthony Fauci, immunologo di origini italiane divenuto celebre durante la pandemia (e ateo in età adulta).
Ma a far parlare di sé fra i cattolici decorati da Joe Biden è suor Simone Campbell, celebre attivista per l’uguaglianza in campo economico e sanitario. Ma soprattutto esponente di spicco della Leadership Conference of Women Religious, organizzazione che ha sede nel Maryland e che raccoglie centinaia di religiose e laiche cattoliche, sotto indagine dal 2009 al 2012 per iniziativa della Congregazione per la dottrina della fede. Un’indagine motivata dalle numerose rivendicazioni incompatibili con la dottrina cattolica, soprattutto in tema di femminismo radicale, aborto, eutanasia, ordinazione sacerdotale delle donne e gender. Ospite di rilievo alla convention di Barack Obama e in seguito chiamata ad intervenire (e indirizzare voti) a quella di Joe Biden – insieme al gesuita e attivista gay padre James Martin – suor Campbell è stata per anni fra le più aspre voci critiche verso Benedetto XVI, per poi volgere il proprio biasimo a Francesco, colpevole di aver tradito un’agenda di riforme ben oltre il realizzabile (e il cristiano). Durante la cerimonia di conferimento della medaglia presidenziale per la libertà, Biden ha speso parole di grande apprezzamento per la religiosa, avventurandosi addirittura in una citazione dalla Lettera di Giacomo (Gc 2,26). «Per tante persone e per la Nazione, suor Simone Campbell è un dono di Dio. Negli ultimi cinquant’anni ha incarnato la convinzione nella nostra Chiesa che la fede senza le opere è morta». Dimenticando, forse, che vale anche il contrario.
Non solo cattolici, comunque, alla cerimonia presieduta da Joe Biden. Fra i decorati, anche l’americano di origini pakistane e di religione musulmana Khizr Khan, attivista per la libertà di religione e fortemente critico verso gli affondi islamofobi di Trump, e l’ortodosso Alexander Karloutsos, già vicario generale dell’Arcidiocesi greco-ortodossa d’America, un’eparchia del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli con sede a New York City. In tempi di crisi di consensi e contrapposizioni armate e religiose, meglio avere più d’una freccia al proprio arco.
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