Se è vero che nel 2023 i gruppi pentecostali ed evangelici saranno più numerosi della Chiesa cattolica in Brasile, una fotografia interessante ci viene dall’Italia. Dove l’individualismo sostiene anche la crescita di atei e agnostici.
Fa discutere la dinamica religiosa che da decenni caratterizza il Brasile, e che nel 2023 potrebbe condurre ad un sorpasso dei gruppi pentecostali ed evangelici sulla Chiesa cattolica. Si stima che abbiano già conquistato il 32% della popolazione, con il Cattolicesimo che negli ultimi vent’anni sarebbe crollato dal 75% al 50%. Tra le cause del successo figurano la crescente povertà e l’aumento delle disuguaglianze sociali, dalle quali, a parere di questi gruppi, ci si riscatterebbe soltanto grazie al merito personale. Una vera e propria “teologia della prosperità” che si combina fin troppo bene – tristemente – con il sempre maggiore individualismo, a discapito delle dinamiche comunitarie.
Pur tenendo conto della grande varietà del mondo protestante, vale la pena ricordare, almeno per sommi capi, che fra gli evangelici si annoverano numerose denominazioni, di costituzione più o meno “storica”, dai luterani ai pentecostali, ognuna con proprie sensibilità e caratteristiche. Chi si professa pentecostale è, dunque, evangelico, ma non tutti gli evangelici sono pentecostali. In Italia, si contano circa 750 mila protestanti. La Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) unisce la maggior parte delle denominazioni storiche presenti in Italia e alcune delle pentecostali, sebbene le più numerose fra queste siano riunite nelle Assemblee di Dio in Italia (ADI).
Una fotografia di cosa stia accadendo nel resto del mondo, soprattutto in ampie porzioni dell’America Latina, ci può venire proprio dall’Italia, ed in particolare dall’appartenenza religiosa dei cittadini stranieri qui residenti. Le stime della Fondazione ISMU al 1° gennaio 2019, riportate anche nel Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, ipotizzano infatti che fra gli stranieri in Italia vi siano circa 1 milione 580 mila musulmani (30,1%), 1 milione 560 mila cristiani ortodossi (29,7%), 977 mila cattolici (18,6%), 183 mila evangelici (3,5%), 16 mila copti (0,3%) e 80 mila persone di altre fedi cristiane (1,5%).
Se in termini assoluti la diffusione dell’evangelismo in Italia si presenta ancora come ampiamente minoritaria, è però interessante guardare alle variazioni che caratterizzano il fenomeno. In un anno, dal 2018 al 2019, infatti, tutte le confessioni cristiane sono diminuite fra gli stranieri, con la sola eccezione degli evangelici. Le cifre parlano chiaro: -79 mila ortodossi, -75 mila cattolici, -4 mila copti e -39 mila altri cristiani. Ma ben +52 evangelici, che superano anche buddisti, induisti e sikh fra i cittadini stranieri.
In termini di nazionalità, poi, gli evangelici presentano una certa omogeneità. Guardando ai principali gruppi nazionali-religiosi stranieri nelle province italiane, infatti, fra i cristiani evangelici spiccano peruviani, cinesi ed ecuadoriani a Milano (circa 3 mila unità, rispettivamente), ghanesi a Modena (3 mila) e boliviani a Bergamo (2 mila). Una netta prevalenza, quindi, delle nazionalità sudamericane, che testimonia la grande vitalità delle denominazioni evangeliche nei rispettivi territori di origine, oltre che in Italia.
Attenzione, però. Accanto agli evangelici, risultano in fortissima crescita anche i cittadini stranieri che si stimano atei o agnostici, quasi raddoppiati in un anno: 331 mila al 1° gennaio 2018, sono 505 mila all’inizio del 2019 (9,6% del totale delle “religioni”). A professarsi senza alcuna religione sono soprattutto i cinesi a Milano (23 mila), i romeni a Roma (17 mila) e di nuovo i cinesi a Prato (15 mila), a Roma (13 mila) e a Firenze (13 mila). A fronte delle dinamiche che sostengono la crescita degli evangelici – talvolta di matrice fortemente individualista, come si è detto – non è difficile comprendere come i due fenomeni abbiano una radice comune.
La sensazione è che, distratti da polemiche e ideologie, si stia perdendo un’occasione. Al momento sembrano tre, infatti, gli atteggiamenti predominanti, anche in parte della Chiesa cattolica, non solo gerarchica: assistere passivamente ai cambiamenti in atto; stracciarsi le vesti per un mondo – e un’Italia – che non sono più gli stessi; infine, proporre incaute soluzioni che si ispirano ai gruppi “di successo”. Sarebbe, invece, sempre più urgente investire nella pastorale e nella missionarietà, “strategie” che nulla hanno a che vedere con il marketing. Né richiederebbero sinodi ad hoc, ma soltanto di recuperare le radici stesse del Cristianesimo.
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