Era il 14 gennaio 1953 e Angelo Roncalli, appena nominato cardinale, venne ritratto inginocchiato di fronte al Presidente francese in una fotografia che fece storia. Memorie dimenticate di un’usanza oggi scomparsa.
Era una prerogativa in vigore fino ad un cinquantina di anni fa e coinvolgeva quei nunzi apostolici che, al termine della loro carriera, erano stati chiamati ad essere cardinali. Se l’ultima nazione nella quale avevano prestato la loro opera era un Paese per tradizione cattolico il Capo dello Stato avrebbe potuto rivendicare il privilegio di sostituire il Pontefice nell’imposizione della berretta cardinalizia. La cerimonia, una mescolanza di sacro e profano, si svolgeva alla presenza dei maggiori funzionari e dignitari pubblici, generalmente presso la sede del Capo dello Stato.
In Italia accadde diverse volte, sia con il presidente Luigi Einaudi sia con il successore Giovanni Gronchi. Del primo si ricorda l’imposizione della berretta al nunzio in Italia mons. Francesco Borgongini Duca, il 14 gennaio 1953. «Un comico ritardo di venti minuti. Disfunzione del servizio di collegamento», ricorda Giulio Andreotti, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nel suo libro “1953. Fu legge truffa?” (Rizzoli, 2007). «Per la porpora a Borgongini il Presidente aveva scritto al Papa (su suggerimento di monsignor Montini)». Con Gronchi fu la volta di mons. Giuseppe Fietta, nel dicembre 1958 al Quirinale. La lista, anche all’estero, è lunga e comprende , presidenti, sovrani e dittatori. È questo il caso del generalissimo Francisco Franco.
L’episodio più clamoroso si svolse però in Francia. Mentre Borgongini Duca riceveva la berretta dalla mani del Presidente italiano, mons. Angelo Roncalli, per nove anni nunzio apostolico in Francia, partecipava ad una uguale cerimonia alla presenza del presidente della Repubblica francese, Vincent Auriol. Socialista e dichiaratamente ateo. La Francia, tradizionalmente cattolica ma altrettanto orgogliosamente laicista, attraversava in quel momento un periodo non facile nei rapporti con la Santa Sede. Auriol, però, non solo non si sottrasse, ma anzi rivendicò con forza l’onore che un tempo era spettato ai sovrani francesi. Volontà di ribadire la superiorità del potere politico su quello della Chiesa o riconoscimento per l’importante lavoro di mediazione svolto da Roncalli in un momento storico complesso?
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Di lì a pochi giorni, il 25 febbraio 1953, prima di prendere possesso del patriarcato di Venezia, il card. Roncalli si sarebbe recato al Quirinale per prestare giuramento nelle mani del presidente della Repubblica, Luigi Einaudi. L’ex nunzio a Parigi approfitta della tappa romana per compiere il giro dei dicasteri vaticani e della segreteria di Stato.
«Grandi ricevimenti in questi giorni nelle ambasciate rispettive, per i nuovi cardinali. Compatibilmente con la maratona della Camera ci vado», commentò Andreotti. Fu uno degli ultimi casi, solenne e singolare. Pochi anni dopo, con Paolo VI, il privilegio venne abolito e da allora la cerimonia, più spiccatamente religiosa, prevede che la berretta venga consegnata ai nuovi cardinali dal Pontefice o da un suo delegato, in genere nella basilica di San Pietro. Niente da fare, quindi, per Macron, Fillon o Le Pen.
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