Vacanze, sinonimo di riposo e spesso di musica. Un accostamento tutt’altro che moderno. Fra i manoscritti di Qumran, lo storico sito del Mar Morto che ha donato al mondo alcune delle testimonianze scritte più importanti sulla Bibbia, sono emerse nuove informazioni sulla vita religiosa al tempo di Cristo. In particolare, sono in corso le analisi su alcuni frammenti di pergamena che fanno riferimento al modo in cui veniva celebrato lo Shabbat, il Sabato. Una lezione che Ennio Morricone avrebbe condiviso.
“Dio è nei dettagli”, si potrebbe affermare con la versione originale di questo diffuso modo di dire. Le modalità della scoperta, infatti, sono singolari. Il nuovo testo – si tratta, in verità, di porzioni di frasi, ancora al vaglio degli storici – è stato rinvenuto inaspettatamente su alcuni frammenti di pergamene che si consideravano “in bianco”, vale a dire senza nulla di scritto, e per questo destinati ad altro tipo di studi e conservati presso la John Rylands Library dell’Università di Manchester, dove giacevano, sostanzialmente intoccati, dal 1997. Proprio nel corso di una queste analisi, attraverso la tecnica della fotografia multispettrale, gli esperti del team Dispersed Qumran Caves Artefacts Archival Sources (DQCAAS), composto da Joan Taylor del King’s College di Londra, Marcello Fidanzio della Facoltà di Teologia di Lugano e Dennis Mizzi dell’Università di Malta, hanno notato che sulle pergamene si palesavano lettere invisibili ad occhio nudo, e con particolare chiarezza la parola “Shabbat”.
Servirà del tempo per mettere – letteralmente – insieme i pezzi e comprendere il significato di quanto le pergamene hanno da svelare, ma l’ipotesi è che si tratti di un frammento del Libro di Ezechiele. Le poche frasi sopravvissute all’usura del tempo fanno riferimento ad uno dei giorni più carichi di significato per la tradizione ebraica, il Sabato, per molta parte ereditato da quella cristiana, sebbene trasferito alla domenica e riletto alla luce di Cristo.
I rimandi allo Shabbat sono numerosi in tutto l’Antico Testamento, in particolare nei Libri dell’Esodo, del Deuteronomio e del Levitico. Ma tra i passi più celebri ne figura uno del Nuovo Testamento – “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” – riferito nei tre Vangeli sinottici a proposito dell’episodio cosiddetto di Gesù, Signore del Sabato. Sebbene lo Shabbat, a partire dalla Genesi, sia universalmente interpretato come il giorno del “riposo”, una traduzione più letterale lo vorrebbe come il tempo in cui “si smette” di lavorare. Apparentemente solo una sfumatura, ma in verità un’interpretazione che si concilia meglio con un Dio onnipotente al quale non è necessario un riposo propriamente umano.
Il senso dello Shabbat è, infatti, ben più profondo. È bellissimo, a questo proposito, quanto scrive il filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel nel suo folgorante Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno. «La Creazione, ci insegnano, non è un atto che successe una volta nel tempo, una sola volta e per sempre. L’atto di portare il mondo in essere è un processo continuo. Dio ha chiamato il mondo ad esistere, e tale chiamata continua. C’è questo preciso istante perché Dio è presente. Ogni istante è un atto di creazione. Ogni momento non è terminale ma una scintilla, un segnale di Principio».
Proprio il tempo, il nostro così come quello universale, è fra i più grandi crucci dell’uomo. Lo abbiamo scoperto anche in questa pandemia. «Non possiamo risolvere il problema del tempo mediante la conquista dello spazio, con piramidi o fama – prosegue Heschel – possiamo solo risolvere il problema del tempo mediante la santificazione del tempo. Solo per l’umanità il tempo è elusivo; per l’umanità con Dio il tempo è l’eternità in incognito». Tanto da divenire poesia e musica. «La Creazione è il linguaggio di Dio, il Tempo è la Sua canzone, e le cose dello spazio le consonanti della canzone. Santificare il tempo è cantare le vocali in unisono con Lui. Questo è il compito degli esseri umani: conquistare lo spazio e santificare il tempo».
Un dualismo, quello di tempo e spazio, caro anche a papa Francesco. Con il tempo superiore allo spazio, per avviare processi e non per dominare territori di vita e di potere, che inevitabilmente si rivelano illusori. Dovremmo averlo ben compreso in questa pandemia, durante la quale abbiamo ritrovato spazi che credevamo perduti proprio grazie ad un nuovo sguardo sul nostro tempo. Avremo nuovamente occasione di farci i conti nelle vacanze ormai prossime, che forse più di altre si annunciano votate alla ricerca spasmodica di nuove attività e al rimpianto di quelle negate.
Dovremmo, invece, prendere esempio dalla musica, fra le arti probabilmente quella più intimamente legata al tempo, e nella quale abbiamo cercato conforto anche durante i giorni della quarantena. «La musica è sicuramente vicina a Dio», – raccontava nel 2015 Ennio Morricone in un’intervista a Famiglia Cristiana. «La musica è l’unica vera arte che ci avvicina veramente al Padre eterno e all’eternità». In un equilibrio di tempo e di silenzio. Ricollocandoci nel riposo, cioè nella pace dello Shabbat, di un “riposo in Dio”, per ricollocare in Dio in ogni cosa.
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