Il Covid dietro l’incendio alla cattedrale di Managua? Il fronte no-Covid dagli Usa al Brasile, passando per Italia, Kenya e Chiesa russa

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Il trucco c’è ma non si vede, recita un vecchio adagio del mondo della magia. Il Covid però non è un trucco e a fare la figura dei “prestigiatori” sono presidenti, cantanti e qualche uomo di Chiesa, uniti forse dal tentativo di farlo almeno dimenticare, se non proprio sparire, come nel peggiore dei trucchi da mago.

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A lungo capofila del fronte no-Covid è stato il presidente statunitense Donald Trump, che per mesi ha negato la reale portata della diffusione del coronavirus negli Usa, preferendo combattere l’epidemia con le epurazioni. Celebri, fra gli altri, i casi del medico Rick Bright, escluso dalla guida dell’agenzia incaricata dal ministero della Salute Usa per lo sviluppo di un vaccino contro il Covid-19; dell’esperto di malattie infettive Anthony Fauci, in più di un’occasione sull’orlo del licenziamento; e del capitano Brett Crozier, comandante della portaerei Roosevelt, allontanato dai vertici della Marina militare, appoggiati da Trump, per aver denunciato un focolaio di Covid a bordo della nave, poi effettivamente rivelatosi letale. Tristemente celebri anche le battaglie di Trump contro l’uso delle mascherine e a favore dell’immunità di gregge (la stessa sostenuta anche dal premier britannico Boris Johnson, prima di contrarre egli stesso la malattia).

Proprio la resa alle mascherine, però, potrebbe segnare l’uscita del Presidente Usa dal fronte no-Covid. Negli ultimi giorni, infatti, con un poco onorevole (ma doveroso) dietrofront, Trump si è fatto promotore dell’uso “patriottico” di questi dispositivi di protezione. «Possono forse aiutarci a ritornare al nostro modo di vivere americano che molti di noi giustamente amavano prima che fossimo colpiti in modo così terribile dal virus cinese», scrive Trump in una mail inviata ai propri sostenitori, nel pieno della campagna per le sempre più improbabili rielezioni. Insomma, un celodurismo in versione chirurgica, che potrebbe aprire la strada a nuovi slogan: che dopo “America first” sia giunto il momento di “Mask first”?

Una svolta che potrebbe mettere ulteriormente in imbarazzo piccoli e grandi emuli di Trump abituati a fare la voce grossa anche su questo tema, dall’italiano Matteo Salvini al brasiliano Bolsonaro. Quest’ultimo si trova attualmente alle prese con una delle crisi più gravi dell’intera storia del Brasile, nella quale si assommano colpevoli ritardi e insabbiamenti in ambito sanitario, un crescente disagio economico e sociale e una sciocca retorica intesa a minimizzare, se non a negare, l’impatto della pandemia nel Paese.

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Una combinazione che ha ormai condotto anche numerosi vescovi brasiliani a schierarsi apertamente contro le scelte di Bolsonaro. Cosa più grave, la sistematica strumentalizzazione della religione a fini politici sembra aver sortito l’effetto di allargare la frattura in seno alla Chiesa brasiliana, con i vescovi critici nei confronti del Presidente accusati da ambienti sedicenti conservatori, vicini al Catholic Institute Plinio Corrêa de Oliveira (IPCO), di essere “comunisti” e simpatizzanti della teologia della liberazione. Negli ultimi giorni 1.500 presbiteri brasiliani sono scesi in campo per manifestare il proprio supporto ai vescovi, dopo che un certo disorientamento si era evidenziato anche tra i fedeli.

Ancora più grave è la situazione in Nicaragua. Da tempo il governo di Daniel Ortega ha eroso le libertà fondamentali, alimentando l’ostilità verso la Chiesa, colpevole di denunciare pubblicamente la “politica” del regime. La situazione è precipitata sull’onda della presenza massiccia del coronavirus nel Paese, negata dalle autorità, che da mesi inscenano una farsa, diffondendo dati risibili sull’epidemia, smentiti dalla Chiesa. Nel mirino del regime c’è in particolare il card. Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua. Il recente attacco incendiario alla cappella del Sangue di Cristo, nella cattedrale della capitale, definito di “natura terroristica” dallo stesso card. Brenes, è con ogni probabilità da ricondurre a questo clima di tensione. È eloquente che la vicepresidente del Nicaragua, nonché moglie di Ortega, abbia irriso l’arcidiocesi attribuendo l’incendio alle candele, contestando la versione resa da diversi testimoni di una persona incappucciata vista entrare nella chiesa.

Come d’abitudine nel caso delle emergenze, ambientali, sociali o sanitarie che siano, diversi regimi nel mondo intrattengono rapporti singolari con la pandemia di coronavirus. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di tacerne la diffusione, come nel caso della Corea del Nord. Nelle prime settimane della pandemia avevano fatto scalpore le immagini del viceministro alla Salute dell’Iran, Iraj Harirchi, impegnato a minimizzare la diffusione del coronavirus nel Paese, ma in preda alla tosse e ad un evidente malessere: pochi giorni dopo ne verrà confermato il contagio. Immagini che, nella loro grottesca comicità, ricordano quelle del ministro dell’Informazione dell’Iraq al tempo della guerra del 2003, Muhammad Saʿīd al-Ṣaḥḥāf, ribattezzato “Baghdad Bob” e “Alì il Comico” per le sue anacronistiche dichiarazioni circa l’imminente sconfitta delle truppe americane e sul presunto “suicidio di massa” dei soldati nemici.

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La situazione non è migliore nella vecchia Europa. Spicca il caso della Bielorussia, fra pochi Paesi europei a non aver adottato alcuna misura di contrasto al virus. La ricetta dell’istrionico presidente Alexander Lukashenko? «Vodka, sauna e molto lavoro». Da qui, scuole e fabbriche sempre aperte e persino parate militari e il campionato di calcio nazionale, con tanto di pubblico dal vivo. Per Lukashenko il vero pericolo, infatti, sarebbe rimanere in casa. «L’isolamento in appartamenti marci è la causa del virus. Non capisco chi chiede la quarantena». Come accaduto in molti Stati europei, colpevoli, a detta del Presidente bielorusso, di “alimentare la psicosi”. «Se hai l’influenza devi uscire, respirare aria fresca, ventilare la stanza. Ne ammazza più il panico che tutto il resto». Viene da chiedersi se lo stesso consiglio varrà anche per le manifestazioni di piazza che in molti prevedono dopo l’esito scontato delle elezioni.

Anche diversi governi africani stanno negando la diffusione della pandemia. Fra gli altri, quello dell’ex presidente del Kenya, Pierre Nkurunziza, morto improvvisamente a 55 anni ad inizio giugno: ufficialmente in seguito ad un attacco di cuore, ma forse proprio a causa del virus del quale si era ostinato a negare la presenza. Ben diverso il caso della Tanzania, dove il governo di John Magufuli non ha mai negato la diffusione del coronavirus nel Paese, ma nei giorni scorsi ha decretato risolta la pandemia di Covid-19 «per grazia di Dio», contro le raccomandazioni dell’Oms. Il Presidente, parlando in una chiesa della capitale Dodoma, ha ringraziato «i tanzaniani di tutte le fedi. Abbiamo pregato e digiunato affinché Dio ci salvasse dalla pandemia che ha afflitto il nostro Paese e il mondo. Dio ci ha risposto».

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Magufuli non ha poi risparmiato elogi a preti e fedeli per non aver indossato guanti e mascherine durante le celebrazioni. Nel Paese i luoghi di culto non sono mai stati chiusi ed anzi l’invito del governo è stato quello di pregare insieme per sconfiggere il virus, definito «satanico». Magufuli è da tempo un personaggio scomodo: cattolico devoto, impegnato in una contestata moralizzazione del Paese e nella lotta contro la corruzione nella politica (dopo una riduzione del proprio stipendio, da lui stesso decretata, è oggi fra gli uomini politici meno pagati d’Africa), nelle scorse settimane è però stato più volte criticato per la gestione dell’emergenza sanitaria, oltre che per l’avvicinamento all’orbita cinese.

Guai legati all’epidemia di coronavirus non mancano anche sul fronte ortodosso. Nelle scorse settimane a Ekaterinburg, nella regione russa degli Urali, è stata decretata la rimozione dal ministero di un monaco colpevole di aver contestato le direttive sanitarie del Patriarcato di Mosca, negando l’esistenza della pandemia in atto e invitando a violare la chiusura dei luoghi di culto. Proprio in virtù delle misure caute adottate dalla Chiesa ortodossa di Russia, il monaco ha accusato il patriarca Kirill di «tradimento», «eresia» e «satanismo», e con lui il presidente Vladimir Puntin. Le posizioni del carismatico religioso, ex agente di polizia e nostalgico dello zarismo, gli hanno guadagnato il supporto di alcuni ambienti ultra-conservatori e di diversi veterani del conflitto separatista nell’Ucraina orientale.

In ambito cattolico fanno notizia, non senza una buona dose di strumentalizzazione, le dichiarazioni dell’arcivescovo di Douala, in Camerun, mons. Samuel Kleda, circa la scoperta di una cura al coronavirus a base di erbe locali, da lui stesso sperimentata con successo in numerosi ospedali cattolici. E c’è già chi, irridendo le dichiarazioni del prelato, evoca – e biasima – il “silenzio” di papa Francesco sulla vicenda.

Anche la guerra contro il coronavirus ha i suoi nemici interni. Viene da chiedersi: a vantaggio di chi?

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