«Sono le piccole mani a cambiare il mondo» oppure «Salveremo il mondo con un pollo di gomma con la carrucola in mezzo»? Se non avete idea di cosa si stia parlando, rischiate di non comprendere la politica italiana dei prossimi anni.
Il riferimento, nel primo caso, è all’umiltà degli hobbit protagonisti del Signore degli anelli di Tolkien, caro a Giorgia Meloni (e, per tradizione, alla destra in Italia). Il singolare pollo di gomma, che fino a qualche tempo fa accompagnava su Twitter Elly Schlein, appartiene invece all’orizzonte di Monkey Island, saga di videogiochi creata negli anni ’90 da Ron Gilbert. Dove, per progredire nella storia, bisogna affidarsi alle combinazioni più improbabili, all’insegna di umorismo piratesco e pensiero laterale.
Meloni e Schlein, due donne che si misurano in egual modo con un Global Gender Gap Index, l’Indice che misura la disparità fra i sessi, che nel 2022 vede l’Italia in 63a posizione nel mondo. Ma anche due leader antitetiche, nelle vicende personali e nella storia politica di riferimento. Giorgia Meloni, underdog e coatta, donna-madre-cristiana, venuta su senza padre in un quartiere popolare di Roma, partita dalla sezione del Fronte della Gioventù della Garbatella e arrivata alla Presidenza del Consiglio. Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, nata in Svizzera, bisessuale, femminista e progressista, cresciuta in una famiglia agiata e cosmopolita per nazionalità e religione.
Ma c’è molto di più. Generazione X e Y: una lettera dell’alfabeto e dieci anni di differenza fra il 1977 di Giorgia Meloni e il 1985 di Elly Schlein, che lasciano indietro gran parte della concorrenza. L’ultimo ricambio generazionale nella politica italiana, infatti, sembra avere segnato un cambio di passo più profondo, anche in campo culturale. Letteratura fantasy, fumetti, cartoni animati e videogiochi sono stati sdoganati nel dibattito politico.
Da una parte – quella di Meloni – se la giocano Tolkien, l’Atreju de La storia infinita (e della manifestazione giovanile di destra) che si oppone all’avanzata del Nulla, Il trono di spade, Capitan Harlock di Leiji Matsumoto, cosplay e passione per i draghi. Dall’altra – quella di Schlein – la chitarra elettrica ha (quasi) preso il posto di quella acustica di Guccini, insieme all’indie rock, ai videogiochi (compresa la saga The last of us, tra pandemia fungina e mondo arcobaleno) e Occhi di gatto di Tsukasa Hōjō. Meloni-Chan di Eleecine e il ritratto a fumetti di Schlein firmato da Simone “Sio” Albrigi, insomma.
Gran parte dell’informazione le ha derubricate a semplici note di colore, talvolta con quella sufficienza riservata alle giovani donne, ma si tratta di orizzonti culturali e di simboli potenti, quasi identitari. Tanto più che con due donne alla guida del Governo e dei maggiori partiti, l’Italia rischia seriamente di essere per l’ennesima volta un laboratorio politico per l’intero continente europeo.

Ne parlo con il prof. Francesco Toniolo, docente a contratto di Forme e Generi del Cinema e dell’Audiovisivo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Saggista e videogiocatore, è autore di contributi accademici e di articoli divulgativi per Il Corriere della Sera.
Prof. Toniolo, qualcuno ha parlato di “nerd al potere”. È d’accordo?
Non sono particolarmente stupito, ma conviene fare una premessa. La “cultura nerd” non è un monolite roccioso, ha una sua fluidità che si trasforma nel corso del tempo e in base al contesto di riferimento. Per cui sarebbe difficile definirla nel dettaglio. Semplificando, tra i fenomeni trasformativi si è vista una progressiva diffusione e normalizzazione di molti elementi che una volta erano negativamente etichettati come “cose da nerd”. Oggi è scontato apprezzare Star Wars, per esempio, o seguire i film supereroistici Marvel e DC, ma in passato conoscere Luke Skywalker o Hulk poteva facilmente essere etichettata come una “cosa da nerd”, con forte accezione negativa.
La velocità di questo cambiamento non è ovviamente uniforme, incontra sacche di resistenza e varie differenziazioni. La lettura dei manga (fumetti giapponesi, ndr) o la visione degli anime (opere di animazione di produzione giapponese, ndr), per esempio, è molto diffusa ma non ha ancora trovato una normalizzazione. Certo, non c’è nemmeno la forte opposizione che si vide in passato durante il cosiddetto anime boom, che coinvolse anche l’Italia, con l’arrivo di numerose produzioni animate giapponesi. In quel momento erano soprattutto i “robottoni” a essere visti come una minaccia: venivano descritti da molti come prodotti diseducativi, mal fatti, privi di valori, troppo ripetitivi, ecc.
Il medium videoludico incontra ancora – almeno in Italia – diverse resistenze, per varie ragioni che sarebbe difficile elencare qui. Resistenze che, soprattutto, sembrano spesso guardare il dito e non la luna, soffermandosi su questioni ormai risolte da tempo, come la violenza nel medium, che può effettivamente essere un tema di riflessione, ma ci sono precisi riferimenti sull’età consigliata e sui contenuti presenti nei vari videogiochi. Sarebbe molto più stimolante, invece, andare per esempio a riflettere sui free-to-play (videogiochi fruibili gratuitamente, ndr) con una monetizzazione particolarmente aggressiva. Non per demonizzare, ma per generare consapevolezza.
Per cui, tornando alla domanda, non sono stupito del fatto che i riferimenti nerd siano aumentati anche in simili contesti, semplicemente perché diverse componenti della cosiddetta “cultura nerd” sono ormai assolutamente mainstream. L’idea dei “nerd al potere” è accattivante per la comunicazione giornalistica, ma al di fuori dell’attenzione generata da un’espressione come questa, direi che nella pratica sia difficile osservare un simile concetto. Lo sarebbe, forse, se venissero portate avanti esplicite politiche di promozione e valorizzazione di quei settori delle industrie creative che tendono a ricadere sotto l’etichetta nerd.
Per diversi motivi, sia Meloni che Schlein sembrano appartenere ad una scena indie – indipendente e niente affatto scontata – della politica italiana.
Dipende da cosa intendiamo con indie, trattandosi di un termine estremamente sfaccettato. Lo si vede molto bene nei videogiochi, ma si potrebbe fare lo stesso discorso con la musica: l’etichetta indie è impiegata per una serie di prodotti molto diversi tra loro, per differenti ragioni. C’è chi parla di indipendenza dal publisher (casa editrice di videogiochi, ndr), ma ci sono publisher che puntano espressamente sui videogiochi indie, il che sembrerebbe un paradosso.
C’è chi parla di una più o meno vaga “estetica indie”, spesso legata a una componente visiva lontana dai dettagliati modelli poligonali delle grandi produzioni. Anche in un caso del genere, però, ci sono videogiochi assolutamente mainstream, realizzati da grandi team, che condividono questa estetica. O, ancora, si parla di produzioni a basso costo – ma dove inizia e finisce il basso costo? –, di scene inclusive, di pratiche grassroots (movimento di base, ndr) e molto altro, senza poter tracciare un perimetro stabile. Trovo interessante la posizione di chi vede l’indie come un insieme di pratiche esplicitamente resistenti rispetto al mainstream. Per cui non sono semplicemente dei videogiochi “piccoli” o “indipendenti”, ma produzioni che lottano apertamente contro la direzione generale del mercato.
Fatta questa premessa, personalmente non vedo particolarmente indie né Giorgia Meloni né Elly Schlein, rispetto allo spettro politico in cui vanno a inserirsi. Ci sono, certo, elementi di originalità, ma almeno nell’accezione più stretta che ho delineato sopra direi che non riscontriamo pratiche di rottura radicale. Un desiderio di riposizionamento e reindirizzamento certamente sì. Al più, la storia personale di Giorgia Meloni sembra presentarsi bene a una narrazione indipendente, per le sue origini, ma mi sembra che abbia poi compiuto un percorso politico in linea con quello che è il mainstream politico, se così possiamo definirlo.
Sia Meloni che Schlein hanno i propri riferimenti culturali, sebbene con qualche differenza. Iniziamo da Giorgia Meloni. Tolkien e il suo Signore degli anelli: una vera e propria passione, oltre che un punto di riferimento tradizionale per la destra in Italia.
La vicenda è stata ricostruita da varie voci. Nel libro Tolkien e l’Italia di Oronzo Cilli sono riportate le schede di lettura del tempo, quando si pensò per la prima volta di tradurre The Lord of the Rings. Tra dubbi e perplessità, emerge soprattutto il parere contrario di Elio Vittorini. Lo scrittore, pur mostrandosi possibilista sul fare un tentativo con il primo libro, si mostrava ben poco interessato all’operazione. Paragonava The Lord of the Rings al Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, ma non riconosceva a Tolkien la stessa abilità e, soprattutto, lamentava la mancanza di un legame con la realtà presente.
Va detto che, nel corso degli anni, sono state in realtà moltissime le connessioni con la quotidianità, portate avanti da diverse persone, a volte anche forzando un po’ la mano con l’interpretazione. The Lord of the Rings è del resto una miniera di tematiche, per cui offre un gran numero di spunti sviluppabili. In tal senso – per fare un esempio – si può tranquillamente leggere un Tolkien “ecologista” negli episodi che coinvolgono Saruman. Così come si può leggere un Tolkien “conservatore” in quegli stessi episodi, con la minaccia del progresso. E molto altro ancora. La sinistra italiana, nel complesso, ha però iniziato piuttosto tardi a interessarsi del Signore degli anelli, in cui leggevano spesso solamente la sua distanza dal presente. Uno “svago” nel migliore dei casi inutile e nel peggiore pericoloso, in quanto conservatore e classista, ben lontano dall’impegno di molti romanzi di fabbrica, per esempio.
Ma Il Signore degli anelli è un testo che ha fatto sognare e riflettere – e lo fa tutt’ora – un gran numero di ragazze e ragazzi. E se, negli ambienti più vicini alla sinistra, la sua lettura era mal vista, per le ragioni sopra indicate, a destra non c’era questa volontà censoria nei confronti di quel testo. Va detto che anche la prefazione del tempo e altre vicende editoriali avevano reso più diffusa una certa lettura dell’opera tolkieniana. Non è comunque una vicenda facile da riassumere in poche righe. Rimando ancora al testo di Cilli, che dedica diverse pagine alle questioni politiche legate all’arrivo del Signore degli anelli nel nostro paese.
E poi c’è il Capitan Harlock di Akira “Leiji” Matsumoto. Nel 2019 Giorgia Meloni ne ha celebrato i 40 anni dall’arrivo in Italia con un tweet. In questo caso in quale orizzonte ci muoviamo?
Pur con i distinguo del caso, il discorso non è troppo lontano da quanto detto a proposito di Tolkien. Gli anime, arrivati in Italia, furono fortemente osteggiati da numerosi giornalisti e intellettuali, molti dei quali legati alla sinistra. Questo ha contribuito alla politicizzazione di Capitan Harlock, che è stato probabilmente letto come un emblema di questa lotta al potere della “cultura alta”, che in quel contesto si esprimeva attraverso la censura e il desiderio di contrastare gli anime. Arrivando, peraltro, a contrapporvi i personaggi della Disney, che a loro volta erano stati precedentemente accusati da diverse voci della cultura alta. E, visto che queste voci critiche provenivano in molti casi da ambienti di sinistra, è tanto più comprensibile l’accostamento di cui si è detto.

Passiamo a Elly Schlein. Qui un nome su tutti si impone: Monkey Island e il suo “pollo con la carrucola in mezzo”, scherzosamente celebrato dalla segretaria del Pd come strumento per «salvare il mondo».
Il pollo di gomma con carrucola è probabilmente l’enigma più rappresentativo di Monkey Island. La serie è nota per diverse situazioni in cui emerge quella che viene definita moon logic: si tratta, cioè, di situazioni che richiedono ragionamenti contro-intuitivi, in cui bisogna spesso procedere per tentativi. L’idea di combinare un pollo di gomma con una carrucola per proseguire nel gioco non è certo la più strana e, in fondo, c’è probabilmente chi direbbe che non siamo ancora nel terreno della moon logic. Se volete degli esempi interni alla serie, ne trovate molti di più in Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge.
Di certo, però, è diventato un riferimento proverbiale sull’approccio alternativo ai problemi. Proprio come fa Guybrush Threepwood, il protagonista di Monkey Island, quando si trova a fabbricare questo curioso oggetto per raggiungere l’altra riva di un fiume. Considerando il pollo di gomma una sorta di metafora, può indicare la volontà di pensare fuori dagli schemi per trovare una soluzione pratica a un problema, o anche di arrangiarsi con ciò che si ha a disposizione, senza lasciarsi fermare dagli ostacoli. Più in generale, è un elemento che è rimasto in un certo immaginario nerd, insieme alla ancor più famosa scimmia a tre teste e ad altri elementi di Monkey Island.
Elly Schlein non ha fatto mistero di amare – e giocare – The last of us, videogioco e poi serie TV di successo. Al di là di funghi ed epidemie, dovesse azzardare un collegamento con lo scenario politico italiano quale sarebbe?
Che, purtroppo o per fortuna, l’attuale scenario politico italiano non sarà adattato in una serie TV di successo.
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