Haiti. Quella gioia che non siamo in grado di comprendere

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Ad Haiti la vita non è mai stata facile, però non è mai stata triste. Proprio come a Scampia. Intervista a mons. Graziano Borgonovo, sottosegretario del Dicastero per l’evangelizzazione.

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Quella montagna, ad Haiti, sembra ancora difficile da scalare. Soprattuto quando si ha la sensazione di camminare da soli. La mancanza di visibilità e di supporto internazionale rende difficile trovare soluzioni durature per la situazione di Haiti, abbandonata alla crisi umanitaria, resa ancora più grave dal caos politico seguito all’assassinio del presidente Jovenel Moïse, nel 2021. Bande armate hanno preso il controllo di vaste aree del Paese, non senza il supporto dei mercanti di armi internazionali. La popolazione haitiana fa i conti con mancanza di cibo e beni essenziali e violazioni dei diritti umani. Eppure ci sono segni di speranza. C’è una «una gioia che traspare anche in una situazione che noi non riusciamo neppure ad immaginarci». Una gioia che non riusciamo neppure a comprendere del tutto.

Ne parlo con mons. Graziano Borgonovo, sottosegretario del Dicastero per l’evangelizzazione, Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo. Già officiale del Dicastero per la dottrina della fede, è stato rettore del Seminario Filosofico Teologico Internazionale “Giovanni Paolo II” a Roma. Attualmente insegna Teologia morale fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. La sua esperienza ad Haiti è raccontata in due libri: Projet Haiti. Développement d’un laboratoire universitaire de biologie médicale (Vita e Pensiero, 2021) e Educazione e cittadinanza per una formazione integrale. L’éducation et la citoyenneté au service d’une formation intégrale (a cura di Paolo Molinari ed Elena Riva, EDUCatt Università Cattolica, 2024).

“Conflitto dimenticato”: sembra una definizione sin troppo adatta ad Haiti. Qual è la situazione al momento?

A dir poco drammatica. La capitale Port-au-Prince è in mano alle bande armate da alcuni anni, l’aeroporto internazionale è chiuso da mesi.

Come si è giunti a questo punto?

È una storia dolorosa che inizia da lontano. I primi a insediarsi sull’isola furono gli spagnoli, a fine ‘400, nella parte orientale che oggi è la Repubblica Dominicana. A ovest, nell’attuale Repubblica di Haiti, i francesi portarono schiavi da Benin e Nigeria per rivenderli nei Caraibi. Si tratta della parte più impervia, più difficile da abitare. Questo per dire che all’origine della storia di questo popolo c’è qualcosa di drammatico. Basti pensare che se nella Repubblica Dominicana, come negli altri Paesi dell’America centrale e latina dove sono giunti gli spagnoli, il fenomeno del meticciato si è creato quasi immediatamente, ad Haiti no: ancora ai nostri giorni la quasi totalità della popolazione è direttamente discendente dagli schiavi dell’epoca. Sono forse sufficienti queste due annotazioni remote per intuire che questo popolo si porta addosso una storia piuttosto pesante.

Più di recente, si sono aggiunte nuove difficoltà alla storia di Haiti.

Si ricorderà che 15 anni fa, era il 12 gennaio 2010, ad Haiti si è verificato un tremendo terremoto che ha provocato più di 200 mila morti, una cosa devastante. Nel 2016 l’uragano Matthew ha colpito quella parte di isola, causando altra distruzione.

Catastrofi alle quali l’uomo aggiunge del suo.

La situazione non è semplice da nessun punto di vista. Nel 2021, dopo la pandemia che aveva toccato relativamente questo Paese così come le zone più povere del mondo, l’allora presidente di Haiti, Jovenel Moïse, è stato ucciso. Da quel momento, le bande armate sono andate progressivamente costituendosi, a volte entrando in conflitto l’una con l’altra, a volte coalizzandosi tra loro per impedire che le istituzioni, già deboli di per sé, riuscissero a far fronte alla situazione. Ad oggi, c’è un’instabilità delle istituzioni assoluta. Oltre alla fragilità storica e istituzionale, c’è poi quella umana: basti dire che circa il 65% della popolazione vive con un dollaro e mezzo al giorno. Questo aiuta a comprendere perché il conflitto che imperversa ad Haiti è dimenticato dal mondo. Qualche mese fa ha fatto notizia, per poco tempo, che in una delle periferie più povere della capitale Port-au-Prince, chiamata Cité Soleil, il capo di una di queste bande armate ha ordinato l’uccisione di quasi 200 persone perché era convinto di essere vittima di una maledizione vudù. È stato quasi sterminato un intero quartiere. Eventi drammatici come questo sono all’ordine del giorno ad Haiti, ma il mondo pare non accorgersene, la dimentica, la trascura. È come se non ci fosse nessun interesse in questo momento per Haiti, se non quello di chi fa arrivare le armi: perché le armi, invece, arrivano.

“Qui la vita non è mai stata facile, però non è mai stata triste”. A dieci anni dalla visita di papa Francesco a Scampia, periferia nord di Napoli, le sue parole potrebbero essere applicate anche ad Haiti. Lei ha un ricordo personale, in questo senso.

Assolutamente sì, ho un ricordo vivissimo. Quella frase, pronunciata dal Papa, non potrei trattenerla con la vivacità, con la gratitudine, con lo stupore con cui la trattengo nel mio cuore se non fossi stato in quel momento ad Haiti, anzi in una bidonville di Haiti, dove è sorta, dopo il terremoto, un’opera missionaria impressionante, grazie all’iniziativa di una religiosa italiana, suor Marcella Catozza. Decine di bambini abbandonati oppure resi orfani dal terremoto, un piccolo ambulatorio in lamiera, vincere la diffidenza della gente, una piccola cosa dopo l’altra, puntando sulla bellezza, sull’ordine, sull’educazione. Bene, nel 2015 ero lì. Erano presenti anche il nunzio, un amico sacerdote haitiano e tre volontarie. Una di queste, napoletana di origine, a un certo punto si è collegata per ascoltare, via internet, il discorso di papa Francesco nella sua città. Quando il Santo Padre ha pronunciato quella frase, ho notato che il mio amico sacerdote haitiano si è come illuminato: non necessitava di nessuna spiegazione, perché se a Napoli, a Scampia, la vita non è mai stata facile, anche ad Haiti non è mai stata facile, ma non è mai neanche stata triste, e lui questo lo capiva benissimo. Lo si vede nei bambini che vanno a scuola con dignità; nei ragazzi e ragazze universitari, disposti a imparare per aiutare il proprio Paese ad uscire da questa situazione stagnante. Sembra che ad Haiti, pur fra mille difficioltà di ogni genere, la gente sappia affrontare la vita con maggior sollievo di quanto non riusciamo a fare noi in Occidente, con una disposizione umana più naturale, più bella, mentre noi siamo appesantiti da scetticismi e insicurezze.

Su cosa si fonda il futuro del popolo haitiano?

Nel primo semestre di questo anno accademico, occupandomi qui a Roma del Dicastero dell’evangelizzazione da quando il Santo Padre mi ha nominato sottosegretario, ho avuto modo di tenere delle lezioni online a degli studenti dell’Université Notre Dame d’Haïti, sul tema della speranza. Nelle battute conclusive di Spes non confundit, la bolla con la quale papa Francesco ha indetto l’anno giubilare, si dice che di fronte alla morte nessuna retorica è possibile: anche parlando di speranza, sono cosciente che nessuna retorica è possibile. D’altronde, di cos’altro potremmo parlare se non di speranza in una situazione che umanamente è disperata?

Ci sono segni di questa speranza?

Molte opere di tipo caritativo, missionario. Ad Haiti ho conosciuto suore colombiane, suore croate, missionari, anche nei luoghi di miseria più totale. Come dimenticare che c’è chi ha dato la vita nel vero senso della parola: suor Luisa Dell’Orto, delle Piccole sorelle del Vangelo, uccisa il 25 giugno 2022 a Port-au-Prince. Eppure speranza c’è, dalla gioia che traspare anche in una situazione che noi non riusciamo neppure ad immaginarci. E forse non riusciamo ad immaginarcela perché non riusciamo a viverla quella gioia che traspare nonostante la situazione per noi inimmaginabile nella quale vivono queste persone. Forse le due cose stanno insieme.

La politica dà segni di speranza?

Certo, le speranze – umanamente parlando – al momento sembrano fragili. La missione Onu avviata qualche anno fa è stata interrotta, e non ne erano risultate solo esperienze positive. Ora la comunità internazionale ci riprova, con una forza di intervento a guida Kenya: su quali risorse disponga non ci sono molte certezze, e certo non sono solo i Paesi in via di sviluppo che possono mettere risorse, evidentemente.

Ad un livello più locale, quali sono i progetti più promettenti, anche nell’ottica di uno sviluppo sostenibile?

Mi baso sulla mia esperienza personale. La prima volta sono stato ad Haiti nel 2007. Ero rettore del Seminario Filosofico Teologico Internazionale “Giovanni Paolo II” a Roma e partecipavo all’ordinazione sacerdotale di un giovane haitiano, nella diocesi di Jérémie. Poi di nuovo nel 2014, su invito del vescovo di Ench (così in creolo haitiano, Hince, ndr) nel contesto dell’Anno della fede indetto da Benedetto XVI, per tenere un breve corso di formazione per i sacerdoti e al Grand séminaire per i seminaristi. Ench si trova nel plateau central, la parte montagnosa e più impervia dell’isola. Lì, nel febbraio 2013, è stata avviata la Facoltà di Biologia medica. Grazie ad alcuni contatti all’Università Cattolica di Milano e al Gemelli di Roma, siamo riusciti ad allestire un laboratorio di Biologia medica, insieme all’Université Notre Dame d’Haïti. Due anni dopo a Jacmel, nel Sud di Haiti, sul Mar dei Caraibi, la Conferenza episcopale haitiana pensava di avviare una Facoltà di Scienze dell’educazione: grazie all’Università Cattolica abbiamo potuto articolare un progetto, un minimo di strumentazione, un generatore, fondamentale in un Paese che non ha erogazione di energia elettrica 24 ore su 24. Ancora, a Kap Ayisyen c’è la Facoltà di Agronomia, alla quale stiamo collaborando. Occorrerebbe un laboratorio agronomico: stiamo studiando il modo per realizzarlo, ma ora non è facile in mancanza di collegamenti. Mi viene in mente un’espressione che impiegava Madre Teresa: è una goccia nel mare, però se non ci fosse… allora mettiamocela, quella goccia.

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