Variante di una delle immagini più antiche del Cristianesimo quella scelta per rappresentare il Giubileo. Fra storia, Natale e misericordia. Con tre occhi, è il caso di dire, alla tradizione orientale.
Scelta per accompagnare il motto dell’Anno Santo della misericordia, Misericordiosi come il Padre (cfr. Lc 6, 36), l’immagine rappresenta infatti una singolare variante dell’antica iconografia del Cristo buon pastore, declinata dal sacerdote e artista gesuita Marko Ivan Rupnik, già apprezzato per i mosaici della Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, quelli delle basiliche di Fatima, di San Giovanni Rotondo e del Santuario di Lourdes.
Nel logo del Giubileo, Cristo è rappresentato mentre porta sulle spalle un uomo, in luogo della più consueta pecora. Il riferimento all’uomo smarrito è immediato, secondo l’immagine suggerita da Cristo stesso nella celebre parabola della pecora smarrita (Mt 18,12-14 e Lc 15,3-7). Questa, unitamente alla pericope del Buon Pastore (Gv 10,1-21), sta infatti all’origine di uno dei tipi iconografici più antichi e diffusi dell’arte cristiana.
Pitture murali, bassorilievi di sarcofagi, statue, medaglie, lucerne raffiguranti il Cristo buon pastore risultano infatti attestati sin dal II secolo, nelle due versioni del Buon pastore, impegnato a recuperare la pecora smarrita, diretta derivazione del concetto evangelico, e nell’atto di sorvegliare il gregge, raffigurazione di Cristo come pastore della Chiesa. In epoca tardo-antica queste iconografie ebbero un ruolo centrale nella transizione – non solo artistica – dai culti pagani al Cristianesimo.
La composizione del Buon Pastore riprende infatti modelli più antichi. Figure di criofori (portatori di ovini) e di moschofori (portatori di bovini) attraversano nei secoli l’arte greca e greco-romana con significati diversi, per poi ricomparire nell’arte cristiana sotto i tratti del Buon pastore, profondamente modificate nel concetto e nel significato. Particolare di non poco conto, in ambiente pagano l’animale recato sulle spalle dal portatore costituisce generalmente una vittima sacrificale.
Lo scarto rispetto al Cristianesimo appare qui in tutta la sua rivoluzionarietà. Nel Cristianesimo è infatti il portatore stesso, Gesù, a costituire la vittima. Un sacrificio che si consuma non solo sulla croce, che riecheggia in quello dei migliaia di martiri moderni, ma sin da prima del Natale, nel «venire [di Cristo] nel mondo per fare la volontà di Dio, è quello che ci giustifica, è il sacrificio: il vero sacrificio che, una volta per sempre, ci ha giustificato», come ricordava a gennaio il Pontefice da Santa Marta.
Buon Pastore e misericordia erano già stati affiancati esplicitamente da papa Francesco nello scorso aprile, in occasione della quarta domenica di Pasqua, detta “del Buon Pastore”. «Occorre anche seguire il Buon Pastore», ricordava allora il Pontefice. «In particolare, quanti hanno la missione di guide nella Chiesa – sacerdoti, vescovi, papi – sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager ma quella del servo, ad imitazione di Gesù che, spogliando sé stesso, ci ha salvati con la sua misericordia».
Misericordia che non può essere privata della verità. È lo stesso passo evangelico del Buon Pastore a ricordarlo. Nel riferire la pericope, infatti, Giovanni utilizza non il termine greco agatos, comunemente impiegato per riferirsi alla bontà di Gesù, ma kal os, che indica il bello, il vero. Dunque un Vero Pastore, contrapposto ai cattivi pastori, ricorrenti nella Bibbia (cfr. Ez 34).
Il tema della verità è ripreso anche in un particolare del logo del Giubileo. Laddove gli occhi di Cristo e dell’uomo si incontrano, essi si fondono in un solo occhio, in uno sguardo che si fa al tempo stesso di umanità e divinità. «Impariamo a guardare l’altro non solamente con i nostri occhi, ma con lo sguardo di Dio, che è lo sguardo di Gesù Cristo», ricordava nel novembre di tre anni fa Benedetto XVI. «Uno sguardo che parte dal cuore e non si ferma alla superficie, va al di là delle apparenze e riesce a cogliere le attese profonde dell’altro: attese di essere ascoltato, di un’attenzione gratuita; in una parola: di amore». Come nelle icone della tradizione orientale, specie in quelle che raffigurano la Madre di Dio con il Figlio, dove la figura mariana è sapientemente resa “strabica” dal suo dividersi fra il guardare Cristo e l’osservatore, desideroso di grazia.
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Il Sismografo