Giubileo della misericordia: la rivoluzione della memoria

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È il Giubileo delle novità, ma soprattutto del recupero della memoria quello che si inaugurerà l’8 dicembre e che vivrà il prossimo 29 novembre un’anticipazione, con l’apertura della Porta Santa alla cattedrale di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana e luogo-simbolo di uno dei Paesi al mondo più martoriati dai conflitti.

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Recupero della memoria del Cristianesimo e della storia della Chiesa occuperanno infatti un posto di spicco nel Giubileo straordinario della Misericordia. La stessa istituzione del Giubileo è un ritorno alle radici del Cristianesimo. Lungi dall’essere invenzione dei papi, le origini del Giubileo affondano nell’Antico Testamento e risalgono a Dio stesso. Il Giubileo trae infatti origine dalla tradizione ebraica (Lv 8,55), che fissava ogni cinquant’anni un anno di riposo della terra, la restituzione dei terreni confiscati e la liberazione degli schiavi. Anno di pausa e occasione di riequilibrio, perché non vi fosse una eccessiva sperequazione economica e sociale. Ricchezza, povertà, schiavitù non erano per sempre.

Anche la misericordia ci conduce alle origini del Cristianesimo e della Chiesa. Per misericordia Dio si è fatto prossimo all’uomo, primo Samaritano, perché «è proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza» (Tommaso D’aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 30, a. 4). Misericordia come amore viscerale, non un sentimento di vago buonismo permissivista, ma un amore che coinvolge e cambia, che viene da quelle viscere che avvolgono e proteggono la vita, un amore del quale sono capaci un padre ed una madre. Amore di un Dio appassionato dell’uomo, al quale vuole dare «un cuore nuovo, uno spirito nuovo»: togliendo «dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne» (Ez 11,19; Ez 36,26).

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Anche l’amore è in fondo riscoperta della memoria cristiana. È l’amore, infatti, a caratterizzare le prime comunità cristiane, anzi a costituirne l’elemento identitario ed identificativo. Identitario, perché «vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34 e Gv 15,12); identificativo perché «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri». Una caratteristica rivoluzionaria, secondo Tertulliano in grado di suscitare lo stupore dei pagani: «Guarda come si amano e l’uno per l’altro è pronto a morire» (Tertulliano, Apologetico, XXXIX, 7).

Anche la scelta della data di inizio dell’anno santo, l’8 dicembre, ha in sé un desiderio di memoria e di proposta. In essa non c’è solo la ricorrenza dell’Immacolata concezione (Pio IX, bolla Ineffabilis Deus, 8 dicembre 1854), ma anche il 50simo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. E se «l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio» (Paolo VI, allocuzione in occasione dell’ultima sessione pubblica del Concilio ecumenico Vaticano II, 7 dicembre 1965), ora «la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore» (Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962, 7.2). Una misericordia che non è indifferenza né indifferentismo, ma che apre anzi alla sfida.

A mutare è poi anche il paradigma stesso della penitenza. «Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (Os 6,6. Cfr. Mt 9,13 e Mt 12,7). Se nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, Misericordiae Vultus, sono 168 i riferimenti alla misericordia e 45 quelli all’amore, non mancano neppure gli undici alla gioia (tema al quale papa Francesco ha già dedicato un’Esortazione Apostolica, la Evangelii Gaudium), i tre alla felicità e i due all’entusiasmo, quasi a suggerire un recupero di tali sentimenti all’interno del Cristianesimo del tempo presente. È «la tenerezza del Signore che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene», perché «la diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell’istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili, ma solo dalla tenerezza e dall’amore di Cristo» (papa Francesco, omelia del 7 luglio 2013).

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La misericordia costituisce infine anche il metro di giudizio sull’uomo, «quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui» (cfr. Mt 25,31-46), e al tempo stesso l’invito al recupero di quelle opere di misericordia – forse cadute dall’uso e certamente dalla memoria – richieste da Cristo nel Vangelo (Mt 25) e che la tradizione della Chiesa ha elencato in due gruppi di sette, suddividendole fra spirituali e corporali, e che possono costituire un vero e proprio strumento del cristiano in cerca di misericordia. Da fare e da ricevere. La stessa misericordia che fa dire ad Ambrogio di Milano, inflessibile contro l’eresia ariana, che dove si manifesta la misericordia c’è Cristo e dov’è c’è rigidità forse ci sono i suoi ministri, ma Cristo non c’è (cfr. Ambrogio, De Abraham, I, 6, 50).

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Nell’immagine: Giacomo Conti, La parabola del Buon Samaritano, seconda metà dell’Ottocento, Messina, Chiesa della Medaglia Miracolosa.

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