Mentre i riflettori si spengono sulla Giornata mondiale della gioventù di Lisbona e già si accendono sull’appuntamento di Seoul 2027, alcune questioni rimangono da affrontare. Su tutte, proprio la condizione delle nuove generazioni, ostaggio di tante povertà.
Due anni di pandemia e la conseguente crisi economica e sociale hanno pesato in maniera subdola e spesso incompresa sui giovani. Indagini recenti concordano nel rilevare la scarsa fiducia nel futuro che accomuna ragazze e ragazzi in tutte le società economicamente più avanzate. Con numeri diversi di Stato in Stato, meno della metà dei giovani si dice affascinata dal futuro, con percentuali che scendono ulteriormente fra quanti vivono da cittadini stranieri in un Paese diverso da quello di origine dei propri genitori e nelle ragazze, segno quest’ultimo di irrisolte disuguaglianze di genere. Proprio fra le giovani donne sono più elevate le percentuali di quante si dicono non solo sfiduciate, ma addirittura spaventate dal futuro.
Futuro ad un bivio
In maggioranza le nuove generazioni ritengono che il futuro sarà peggiore del presente o, nel migliore dei casi, che non porterà alcuna buona novità. Fra le maggiori preoccupazioni si collocano, come prevedibile, ambiente e guerra. Non stupisce che proprio fra i più giovani siano in aumento le fragilità psicologiche e le patologie psichiatriche, l’isolamento e il senso di solitudine, oltre che fenomeni come anoressia, bulimia e problematiche legate all’identità.
Sono tanti, troppi, i giovani che scelgono di imboccare scorciatoie autodistruttive, come il consumo di droghe, l’abuso di alcol e social, la banalizzazione del sesso, il divertimento sfrenato. Una «vita distillata», ricorda papa Francesco a Lisbona, «quella che esiste nella mia fantasia, ma non esiste nella realtà. Quante vite distillate inutili. Che passano la vita senza lasciare traccia, perché la loro vita non ha peso». Vite virtuali.
Ma sempre di più sono i giovani che dichiarano di essersi incamminati fuori dalla depressione grazie all’incontro reale con gli altri, dedicandosi a solidarietà, volontariato e preghiera. In altre parole, recuperando il senso della comunità. L’invito, anche per papa Francesco, è a «rispondere in modo concreto, con creatività e coraggio» alle sfide del nostro tempo. Un motivo in più per ritenere appuntamenti come le GMG non soltanto delle “Woodstock cattoliche”, grandi eventi di svago o mediatici, ma anche dei veri e propri toccasana per la salute di corpo, mente ed anima di migliaia di giovani, spesso allontanati dalla fede da incoerenze e abusi nella Chiesa. Una via d’uscita dalle «povertà antiche e nuove».
Povertà al plurale
Di povertà parla il quartiere Serafina, a Lisbona, un nome di donna, quasi si cercasse anche così l’abbraccio di una madre. Un quartiere di periferia, visitato da papa Francesco lo scorso venerdì. Un esempio di quanto diverse siano, e probabilmente siano sempre state, le forme di povertà. C’è la povertà materiale, senza dubbio, che dice di mancanza di cibo e acqua, di denaro, di lavoro, di una casa, di accesso alle cure sanitarie. Ma ci sono povertà che possono segnare anche persone economicamente benestanti, come la povertà educativa, esistenziale e di valori. Se ne riparlerà nel 2027 a Seoul, capitale della Corea del Sud e sede designata della prossima GMG, terra ricca, anche di contraddizioni, che segnano soprattutto la vita dei giovani e dei vulnerabili.
Perché la povertà non è mancanza di tutto. Lo dimostrano quartieri come Serafina: aree urbane dove se sono molte le mancanze, tante sono anche le ricchezze: umane, spirituali, culturali, sociali. È la medesima condizione di molti quartieri difficili delle metropoli occidentali, come sono gli italiani Torpignattara a Roma o San Siro a Milano. Musica, cinema, sport, arte e poesia sono solo alcune delle forme attraverso cui passa il riscatto.
Essere poveri non basta
Perché se è vero che Benedetto XVI ha indicato i poveri come destinatari privilegiati del Vangelo, tutto sta nella maniera in cui la povertà è vissuta. Un senso di rivalsa inteso come desiderio di accumulo di beni, conduce spesso ad esiti di violenza e criminalità. Trappola, una volta di più, del ridurre ogni aspirazione al mero piano materiale. «È questa la grande illusione del nostro tempo, la quale fa credere che lo scopo supremo della vita consista nella lotta e nella conquista dei beni economici e sociali, dei beni temporali ed esteriori», come disse Paolo VI nel 1970 visitando un quartiere alla periferia di Manila, nelle Filippine.
Un quartiere nel quale lo stesso papa Montini disse allora di «essere mandato». Perché la missione della Chiesa fra i poveri, «la preferenza» che deve ad essi, non è un fatto incidentale, ma un tratto della sua stessa natura. Lo dimostrano i secoli di elaborazioni della Chiesa sull’argomento, confluiti nel Concilio Vaticano II. Di povertà trattano la Lumen gentium e la Gaudium et spes, mentre nel decreto Christus Dominus i poveri sono affidati in maniera speciale ai sacerdoti. È l’immagine di una Chiesa che non si limita più ad agire “per” i poveri, ma è in cammino “con” loro, secondo quanto indicato nel decreto Ad gentes.
Giovani e poveri, pellegrini del nostro tempo
Ai giovani e ai poveri, con un paradosso che è tale solo in apparenza, sono affidate le sorti del futuro. A meno di due anni dal Giubileo 2025, sono loro i “pellegrini di speranza” per eccellenza: i giovani, pronti a godere appieno della vita, consapevoli che non basterà mai a soddisfarli; e i poveri, cui la vita ha insegnato ad abitare da precari nel mondo, senza mai appartenergli.
Di fronte alle autorità portoghesi, papa Francesco ha chiesto un «cambio di passo» all’Europa, ricordando la firma, nel 2007, del Trattato di Lisbona di riforma dell’Unione Europea in cui si afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli». Un obiettivo sempre più remoto per un’Europa ostaggio della dittatura liberale ed egualitaria, incapace di dare un senso ad uguaglianza e libertà senza la fraternità. Solo i giovani e i poveri potranno fare di una “Unione” asettica una “Comunità” di uomini e donne. Quell’Europa pensata da Schuman, De Gasperi e Adenauer, per non dire di Benedetto da Norcia. Radici cristiane, «radici di gioia».
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