La prima una superpotenza avviata al declino, economico e antropologico. L’altra la locomotiva economica – come non manca di ricordare – dell’Europa che si spera unita. Joe Biden e Armin Laschet: il presente degli Stati Uniti e il potenziale futuro della Germania. Entrambi cattolici. O almeno così si dice.
Mai inizio di presidenza (cattolica) fu più esplosivo. La miccia era già stata accesa durante la vicepresidenza di Joe Biden nell’Amministrazione Obama e ravvivata nell’ultima campagna elettorale, ma i primi giorni da nuovo Presidente degli Stati Uniti non hanno deluso le aspettative degli amanti degli spettacoli pirotecnici: fuoco di fila di buona parte dell’episcopato cattolico statunitense, difesa di altri e il Papa impegnato a raffreddare gli opposti fervori, più per preservare la Chiesa dallo strappo suicida che per difendere le posizioni di Biden. Le dure posizioni di Francesco in tema di condanna all’aborto, infatti, sono ben note («Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema?»).
La verità è che nella critica generalizzata ai cosiddetti conservatori, nella radicalizzazione manichea fra ciò che sarebbe giusto e sbagliato che ha spaccato la Chiesa negli Stati Uniti e non solo, è venuta meno la stigmatizzazione delle pozioni più dichiaratamente progressiste, insidiose per l’unità e la credibilità della Chiesa almeno tanto quanto il presunto conservatorismo di matrice – e strumentalizzazione – politica alla Trump (e varie declinazioni nazionali). Strade divergenti, ma dalla medesima destinazione: l’allontanamento da ogni coerenza e buon senso rispetto ai princìpi di fondo del Cristianesimo e della Chiesa.
Le prime decisioni di Biden – già tautologicamente passate alla storia come storiche – mostrano che il terreno dello scontro si è spostato da ambiente-migranti-suprematismo-esclusione-pena di morte (fra i punti più critici dell’Amministrazione Trump) a bioetica ed ecologia integrale. Vale a dire la malcelata condiscendenza nei confronti dell’aborto e dei suoi finanziatori (fra l’altro, con la nomina di Antony Blinken a segretario di Stato, particolarmente gradito al colosso degli aborti Planned Parenthood), ma anche eutanasia e le ampie concessioni al gender, anzi al trans-gender, con alcuni provvedimenti che si pensano più ideologici che di parificazione (il primo uomo transgender, un pediatra, nominato sottosegretario della Sanità e la rimozione del bando alle persone transgender nelle forze armate, in vigore dal 2017). Parte del lavoro di ripristino delle norme emanate da Barack Obama e poi cancellate da Donald Trump, insieme al rientro negli accordi di Parigi, alla permanenza nell’Organizzazione Mondiale della Sanità e alla rimozione di (alcuni) ostacoli all’immigrazione, ma dal peso e dalle implicazioni evidenti.
Se il vento cattolico negli Stati Uniti sembra più una bufera che minaccia di scompaginare la Chiesa, scuotendo la Barca di Pietro, in Germania al posto di Joe Biden – per così dire – potrebbe esserci in futuro Armin Laschet. Con tutta la distanza che passa fra il Cattolicesimo progressista anglosassone e quello più tradizionale della Renania.
Armin Laschet, 59 anni, nuovo presidente dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania (CDU), si candida ad un possibile ruolo di futuro cancelliere in Germania. Indicato già come erede di Angela Merkel, per il momento lo è soltanto di Annegret Kramp-Karrenbauer, dal 2018 alla guida della CDU dopo la Merkel, iper-progressista con fra le mani una carriera prematuramente conclusa.
La strada, comunque, è ancora tutta in salita per Laschet, attuale ministro-presidente della Renania Settentrionale-Vestfalia, land di Düsseldorf e di Colonia, che genera oltre un quinto del PIL tedesco e dove la Chiesa cattolica prevale su quella evangelica 42% a 28%. Il leader della CDU è tradizionalmente il candidato congiunto di CDU e CSU (il partito gemello bavarese) al ruolo di cancelliere e la CDU ha guidato il governo federale tedesco per oltre 50 degli ultimi 70 anni, ma questo non basta. Fra i nomi più ricorrenti per il dopo-Merkel c’è quello del ministro-presidente della Baviera, Markus Söder, leader anomalo dell’Unione Cristiano-Sociale (CSU), bavarese ma non troppo, evangelico e non cattolico, cui hanno dato lustro i successi registrati nella gestione dell’emergenza sanitaria nel land.
Laschet, dal canto suo, è «bianco, sposato, padre cattolico di tre figli, della Renania Settentrionale-Vestfalia», come recitano definizioni che volevano essere poco lusinghiere, almeno nelle intenzioni. Ma anche moderato, uomo di centro, merkeliano con distinguo, miglior garanzia di continuità con la Cancelliera uscente in quanto ad europeismo, ambiente e persone migranti. In politica estera ambizioni di leadership in Europa, linea morbida con Russia e Cina, schiena dritta con gli Stati Uniti.
Alcune sintonie di Armin Laschet con i temi cari a papa Francesco si potrebbero trovare nella sensibilità non ideologizzata ai problemi dell’ambiente, nella visione serena del multiculturalismo e nell’apertura ancora maggiore di quella di Angela Merkel all’accoglienza delle persone migranti. Ha fatto notizia la visita di Laschet, nell’agosto scorso, ai campi profughi in Grecia, compreso quello di Moria a Lesbo (dove Laschet è stato scambiato per Cancelliere). Laschet è noto anche per i buoni legami con la comunità turca e i gruppi di immigrati in Germania. «Quando sei in miniera non importa da dove viene il tuo collega, qual è la sua religione o che aspetto ha. Ciò che importa è che puoi fare affidamento su di lui», sottolinea Laschet in un discorso alla CDU, ricordando il lavoro di minatore del padre. Importante anche il servizio svolto come Ministro per le generazioni, la famiglia, le donne e l’integrazione nella Renania Settentrionale-Vestfalia, da 2005 al 2010.
Proprio in questo ruolo, nel 2009, Armin Laschet saluta positivamente la netta diminuzione del numero di aborti praticati nel land, in particolare fra le più giovani. Frutto anche dell’investimento nei centri di consulenza per la gravidanza (27 milioni di euro all’anno), preziosi per il sostegno alle donne. «Vogliamo facilitare il “Sì alla vita” e offrire aiuto», sottolinea al tempo Laschet. Fondamentale il ruolo di parrocchie, Comuni e associazioni, come “Donum Vitae” e “Pro Familia”.
Nel 2013 fanno rumore le posizioni critiche di Armin Laschet in tema di parificazione fra matrimonio eterosessuale e unioni omossesuali. «Non cambia la questione di come i bambini, il matrimonio e la famiglia ricevono il sostegno statale prioritario. Anche la Corte costituzionale non può cambiare il rapporto speciale tra uomini e donne», puntualizza Laschet. E in merito alle adozioni alle coppie omosessuali chiarisce che «i bambini dovrebbero avere diritto a una madre e un padre. Dovrebbero avere il diritto di crescere con la diversità dei genitori e dei sessi. Il diritto del bambino deve essere il primo principio nella legge sull’adozione, non il diritto della coppia ad avere un figlio. […] Non è discriminazione contro le persone senza figli sostenere i bambini in modo così forte». Ancora, nel 2017, l’allora neo-eletto Ministro-presidente della Renania Settentrionale-Vestfalia si dice «contro la discriminazione di ogni tipo, ma vale anche il principio che non tutte le distinzioni sono discriminazione e il matrimonio […] è un rapporto tra uomini e donne. Non è una questione di conservatore o non conservatore».
È evidente il ruolo di primo piano della religione nella storia personale di Armin Laschet (fra l’altro, ha conosciuto la moglie nel coro della parrocchia, ha curato il giornale della diocesi di Aquisgrana e ha diretto la casa editrice cattolica Einhardun), che ne fa però il sostenitore di uno Stato religiosamente neutrale, perché non sarebbe possibile «fare della Bibbia la regola di vita per 80 milioni di persone in Germania». Posizione, almeno nelle parole, simile a quella espressa da Joe Biden.
Questione di coerenza e di aspettative talvolta mal riposte. Una cosa, infatti, è l’auspicabile traduzione del proprio sentire personale nell’agire, anche politico: merce rara, di fronte all’interesse personale mascherato da laicità di Stato. Un’altra, ciò che qualche volta ci si attende (irrealisticamente) in campo religioso dai leader politici, destinato alla delusione. Non necessariamente un male, se si considera il ruolo soffocante e controproducente spesso esercitato dalla politica sulla fede. Lo dicono le storie e le contraddizioni dei più diversi leader di volta in volta assurti a simbolo del presunto riscatto di un certo Cristianesimo. Defensores fidei, reyes católicos, sa majesté très chrétienne li si sarebbe forse detti in altri tempi. Oggi è rimasta la semplice ipocrisia.
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