«Malattia non è castigo di Dio». Essere cattolici in Georgia e Azerbaigian

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Minoranza religiosa, ma attivi nel sociale: è questo il ritratto dei cattolici in Georgia e Azerbaigian, riuniti attorno ai Camilliani di Tbilisi e alle Missionarie della Carità di santa Teresa di Calcutta a Baku. Perché «la malattia non è castigo di Dio, come predicato spesso dal clero ortodosso», ricorda padre Paweł Dyl, che accoglierà papa Francesco il prossimo ottobre.

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Padre Paweł Dyl«Come Camilliani sottolineiamo che la malattia non è castigo di Dio, come predicato spesso dal clero ortodosso, ma la possibilità per tutti di avvicinarsi ai concetti di fratellanza, misericordia e compassione». A spiegarlo è padre Paweł Dyl, sacerdote camilliano polacco, direttore del Centro di assistenza “Redemptor Hominis” di Tbilisi, la capitale della Georgia, dove papa Francesco incontrerà gli operatori della carità il prossimo 1 ottobre. Nel quartiere di Temka, uno dei più difficili dell’anonima periferia sovietica di Tbilisi, è in funzione dal 1998 il poliambulatorio “Redemptor Hominis”, al quale dal 2003 si affianca l’opera dei Camilliani rivolta ai disabili, dapprima con attività ricreative nella loro Casa religiosa e dal 2012 con la creazione di un vero e proprio centro diurno per disabili a Temka, il “San Camillo”. Il complesso, voluto da Giovanni Paolo II e realizzato da Caritas italiana e da altri organismi internazionali cattolici, è di proprietà dei Chierici regolari Ministri degli Infermi. Una realtà socio-sanitaria di 1 chilometro quadrato, che può contare sulla collaborazione di 120 operatori sanitari e di preziosi volontari, come Daniele Mellano, missionario laico prestato al Caucaso dalla diocesi di Susa.

I pazienti sono per lo più poveri, malati, anziani e portatori di handicap, assistiti anche a domicilio attraverso la distribuzione di cibo, medicinali e vestiario. In un Paese in cui l’assistenza sanitaria è troppo spesso riservata ai ricchi, qui è tutto gratuito. Fiore all’occhiello è la riabilitazione sociale e l’inclusione dei disabili, particolarmente dei bambini, dei giovani e delle donne. Un’opera di primaria importanza in un Paese uscito a pezzi dalla fase sovietica e dall’improvvisa apertura al “mondo libero” e ferito da una guerra civile e da due conflitti armati nelle zone separatiste dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud che hanno riversato nella capitale Tbilisi migliaia di profughi.

Mentre ancora una porzione significativa della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e l’elevata disoccupazione spinge i giovani ad emigrare, non sorprende che le prime vittime della crisi economica e sociale siano i disabili. La mancanza di risorse e una diversa cultura religiosa e sociale hanno condannato negli anni decine di migliaia di portatori di handicap fisici e mentali a vivere da reclusi nelle vaste aree urbane di povertà e degrado, dove grande è il bisogno di efficaci politiche sociali. Abbandonati davanti alla televisione, considerati una vergogna per le famiglie, prigionieri delle difficoltà economiche dei propri genitori, i giovani disabili non frequentano la scuola né hanno contatti sociali. Per loro il “Redemptor Hominis” rappresenta più di una speranza.

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Georgia e Azerbaigian, come molti dei territori in quella porzione di mondo a cavallo fra Europa ed Asia, sono fra i Paesi di più antica testimonianza cristiana. Se, infatti, la conversione della Georgia al Cristianesimo risale al IV secolo, la presenza di cristiani in Azerbaigian è attestata addirittura al I secolo. I repentini mutamenti storici di queste terre, contese nei secoli da bizantini, persiani, arabi, mongoli e infine dai russi, ne hanno arricchito la società, ma al tempo stesso l’hanno condannata ad uno stato di tensione e di reciproca diffidenza. Una situazione che non trova conforto neppure nella maggioranza cristiana, in massima parte aderente alla Chiesa apostolica autocefala ortodossa georgiana e che vede le altre denominazioni cristiane, fra le quali quella cattolica, come minoranza.

Se il rapporto con la popolazione è positivo, lo stesso non può dirsi di quello con il clero ortodosso. «Il rapporto è buono, il popolo georgiano è molto ospitale», fa notare padre Dyl. «È la maggioranza del clero ortodosso che non tollera la diversa religione: tutti gli altri eccetto loro sono eretici e non battezzati». Da qui la pratica – diffusa e fortemente criticata dai cattolici – di un nuovo battesimo in caso di passaggio di un cattolico alla Chiesa ortodossa, spesso conseguenza di un matrimonio misto, come se il primo battesimo non avesse alcun valore.

Anche la triste fase dell’ateismo di Stato imposto dall’Unione Sovietica ha duramente colpito la presenza cristiana in Georgia, soprattutto quella cattolica. Da qui anche l’attesa per la visita del Pontefice. «Papa Francesco è un grande apostolo di misericordia. Viene a ribadire la presenza in Georgia della Chiesa cattolica che, dopo la caduta del regime, era la Chiesa svantaggiata ed emarginata», spiega padre Dyl. In Georgia, Francesco incontrerà sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e agenti di pastorale presso la chiesa dell’Assunta di Tbilisi alle 15.45 di sabato 1 ottobre, dopo la Messa nello stadio Mikheil Meskhi. Alle 17.00 il Pontefice incontrerà gli operatori della carità al Centro di assistenza dei Camilliani.

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Molto diverso è il contesto religioso in Azerbaigian, ma anche qui la carità è il tratto distintivo della presenza cattolica. Nel Paese, quasi completamente islamico (tale si professa il 98% degli abitanti, il 97% dei quali musulmani sciiti), tutte le denominazioni cristiane sono minoranza (2-3%). In gran parte si tratta di cristiani russi e georgiani aderenti alla Chiesa ortodossa e Armeni apostolici – questi ultimi per lo più concentrati nella regione del Nagorno-Karabakh. In Azerbaigian non si contano che poche centinaia di cattolici su una popolazione totale di quasi 10 milioni di persone. La piccola comunità è servita da 7 sacerdoti salesiani e da 3 coadiutori, ma può avvalersi anche della presenza delle Missionarie della carità di Teresa di Calcutta.

Nella capitale azera le figlie di madre Teresa sono presenti dal 2005. Fu suor Albina, insieme all’amministratore apostolico del Caucaso, mons. Giuseppe Pasotto, a chiedere a madre Teresa di poter avviare una missione a Baku. La religiosa diede immediatamente la sua approvazione. Suor Albina, che con madre Teresa ha lavorato nell’ospedale per bambini handicappati nella Mosca della perestrojka, ricorda ancora la sera di Natale del 1988 in cui la suora albanese accese 15 candele davanti alla povera mangiatoia, a simboleggiare le 15 Repubbliche sovietiche nelle quali la santa avrebbe voluto costruire le sue “case per Gesù”. Meno di un anno dopo, lo sgretolamento del muro di Berlino e dell’intero blocco sovietico avrebbe cambiato la storia dell’Europa e di buona parte del mondo. Nel maggio 2006 la Casa per i poveri e i senzatetto di Baku è stata la diciassettesima ad essere inaugurata nei territori dell’ex Unione Sovietica. In Azerbaigian a seguire l’esempio di madre Teresa sono oggi suore provenienti da diverse aree del mondo, impegnate soprattutto nel servizio ai poveri, ai senzatetto e in diversi progetti di sostegno alla vita.

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Da non sottovalutare è anche l’opera caritativa svolta dai Salesiani di don Bosco, attivi come da tradizione nel campo dell’educazione dei giovani, per lo più provenienti da famiglie disagiate di ogni confessione religiosa, ai quali viene offerta una formazione nel “Maryam Centre” di Baku. Nel 2004, anno della sua fondazione, la scuola accoglieva 40 studenti. Lo scorso anno erano oltre 400. Per loro una preparazione in campo professionale e accademico all’avanguardia, con spazio per le lingue straniere, la musica, la danza e l’informatica, ma anche per la tradizionale arte della tessitura dei tappeti. Proprio con la comunità salesiana papa Francesco si intratterrà a pranzo sabato 2 ottobre, nella tappa azera del suo viaggio apostolico.

Se in Azerbaigian e Georgia i cattolici si scontrano ancora con l’accusa di fare proselitismo e vengono percepiti come stranieri – risale al maggio scorso la prima ordinazione diaconale di un azero, Behbud Mustafayev – la loro opera dimostra come attraverso il linguaggio dell’esempio e del servizio si possa penetrare la barriera della diffidenza. Nessuna complicata strategia, nessuna “apertura” o marketing comunicativo: semplicemente Vangelo.

Nell’immagine: Ospiti del centro per disabili di Tbilisi (Georgia), gestito dai Camilliani. Foto di Ornella Mazzola.

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