Il burkini ha superato nell’agenda francese guerre e terrorismo. Parola del premier Manuel Valls. Minacce da spiaggia, di una Francia con i valori al bagno.
Verrebbe da pensare che mentre il mondo è in fiamme, la minaccia terroristica è dietro l’angolo o, per i più igienisti, i cani si immergono in acqua a pochi centimetri da te, i problemi da affrontare siano altri. E invece no. A ridefinire l’ordine delle priorità estive del governo francese ha pensato nelle scorse ore il primo ministro Manuel Valls. «Dietro il burkini – ha dichiarato il premier – c’è l’idea che per natura le donne sarebbero impudiche, impure, che dovrebbero dunque essere completamente coperte. Questo non è compatibile con i valori della Francia e della Repubblica». Notizia nella notizia: l’attuale governo francese scopre di avere dei valori. Una vicenda che, complici anche gli strascichi nostrani, sarebbe di quelle da relegare senza appello al chiacchiericcio da ombrellone.
Ma il burkini sorprende. Lasciando per un momento vagare lo sguardo fra il gioco acquatico dei bambini, l’affettuosa sollecitudine dei nonni e le navi che si mischiano al cielo sulla linea dell’orizzonte, ci si scopre a domandarsi in che modo un costume da bagno possa mettere a repentaglio i valori della Francia. O di una parte di essa. Un camicia larga a maniche lunghe, un paio di pantaloni aderenti, un velo – una sorta di hijab – a nascondere i capelli. Femminilità adombrata, ma non celata. Questo è il burkini. Quasi un costume d’altri tempi. Che Valls abbia una fobia per le foto d’epoca? Difficile crederlo. Le ragioni di un primo ministro devono essere più profonde.
Un rischio per la sicurezza, forse? Vale la pena di soppesare l’ipotesi, visti i tempi, tanto più che Valls ha dichiarato che «di fronte alle provocazioni la Repubblica deve difendersi». Chi ha mai sperimentato il naturale scivolare dello sguardo, del proprio e dell’altrui, sa che un burkini indossato su una spiaggia – francese o italiana che sia – attira più attenzioni di un topless. Certamente più bipartisan. Difficile tentare un gesto improvviso, impossibile nascondersi qualcosa addosso, inutile provare ad evitare l’identificazione (il viso è scoperto).
Dev’essere altro, allora. La libertà femminile, per esempio, sempre più spesso gettata malamente sul piatto dei diritti individuali e individualistici della nostra epoca. Quanto è plausibile che una donna – molto spesso una giovane donna – sia costretta ad indossare contro la propria volontà un indumento, ma venga poi lasciata libera di fare il bagno su una spiaggia francese? Non molto. Dev’essere colpa del burkini, ad un primo sguardo così diverso dal burqa, l’immancabile abito delle strade dell’Arabia Saudita e di tanti Paesi alleati dall’Occidente, dai quali il mare sembra infinitamente lontano, così come la liberté parisienne.
Cosa rimane, allora? Camicia, pantaloni, una copertura per il capo. Cosa li distingue da uno dei tanti più fantasiosi e talvolta mal riusciti abbinamenti che popolano le nostre spiagge? Il motivo. Dev’essere colpa della ragione che spinge una donna ad indossarli, preferendoli ad un bikini o ad un costume intero. E non una ragione qualunque, accettabile come potrebbe esserlo una moda lunga una stagione. Non la combinazione di indumenti, ma la loro connotazione religiosa. O forse solo una tradizione. Poco importa, in fondo, ai valori della Francia, che sembrano sempre più quelli di un governo che demolisce con la forza le chiese, fischiato anche dopo gli attentati di Nizza, isolato dentro ai propri castelli di sabbia.
«Il burkini non è una nuova linea di costumi da bagno, una moda. È la traduzione di un progetto politico, di contro-società, fondato tra l’altro sull’asservimento della donna. Le spiagge, così come ogni altro spazio pubblico, devono essere preservate dalle rivendicazioni religiose», dice Valls. Senza ragioni valide e palesi, fin dove può spingersi uno Stato nel suo vietare e imporre? “Vieteranno anche il crocifisso e la kippah?”, si è provocatoriamente domandato un imam francese. Per ragioni molto diverse, mi faccio anch’io la stessa domanda. Non foss’altro che perché porto una croce al collo, insieme ad una medaglia votiva. Mi rimarrà un segno nell’abbronzatura. Spero che la Marianne non se la prenda a male. Almeno fino alla prossima estate.
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Il Sismografo