Francesco ed Enrico. Il Papa, Berlinguer e la questione morale

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Questione di autorità morale oppure questione morale? Dall’Italia della politica alla vita della Chiesa. Suggestioni, senza sovrapposizioni.

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Servire «i poveri, i più bisognosi» è «nel Vangelo», non è comunismo. Basterebbe questa precisazione per segnare tutta la distanza tra papa Francesco e un certo passato. Magari insieme alla riproposizione, nella Fratelli tutti, di un passo della Christus vivit nel quale si denuncia il tentativo di manipolazione dei giovani da parte di «ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni» (n. 13).

Vatileaks, pedofilia e scandali finanziari nella Chiesa. Ma solo la delicata questione cinese è stata più volte evocata, non senza evidenti strumentalizzazioni politiche, nei termini di una perdita di «autorità morale». Ora, dopo l’emergere di altro malaffare – nuovo e terribilmente vecchio, reale o ancora presunto – quella che si pone per la gerarchia ecclesiastica sembra avere più i contorni di una questione morale. Un’espressione che riporta ad una fase ben precisa della politica italiana, mai venuta meno nella sua attualità.

Era il complesso passaggio dagli anni ’70 agli ’80 quando Enrico Berlinguer, allora segretario generale del Partito Comunista Italiano, sottolineava come il vero pericolo non stesse tanto nei numerosi casi di disonestà che travagliavano la classe dirigente e i maggiori e minori partiti italiani, talvolta sin nei più infimi radicamenti locali. Il malaffare esisteva, esiste, in ogni epoca e luogo del mondo, e come tale va perseguito. È inevitabile che avvengano scandali, disse Qualcuno.

Ben più insidiosa era, ed è, quella che per Berlinguer aveva i tratti di un’occupazione delle istituzioni e dei poteri da parte dei partiti. «I partiti non fanno più politica», dichiarava Berlinguer in una storica intervista a Scalfari del 1981. «I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia». Anzitutto nella forma di una degradazione delle istituzioni, asservite all’interesse di parte, per giungere fino alla deformazione del rapporto dei cittadini con la politica, con una critica pregiudiziale oppure un generalizzato disinteresse, se non una silenziosa connivenza. Fino all’estremo sfiguramento della politica in quanto tale.

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Ma, in questo, alla politica potremmo sostituire la Chiesa e alla passione venuta meno nei cittadini la fede messa a rischio nei tanti scandalizzati, laici e non solo. «I “briganti della strada” hanno di solito come segreti alleati quelli che “passano per la strada guardando dall’altra parte”», scrive papa Francesco al n. 75 della Fratelli tutti. Che siano i briganti lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico, quelli in politica oppure nella Chiesa. «C’è una triste ipocrisia là dove l’impunità del delitto, dell’uso delle istituzioni per interessi personali o corporativi, e altri mali che non riusciamo a eliminare, si uniscono a un permanente squalificare tutto, al costante seminare sospetti propagando la diffidenza e la perplessità. All’inganno del “tutto va male” corrisponde un “nessuno può aggiustare le cose”, “che posso fare io?”. In tal modo, si alimenta il disincanto e la mancanza di speranza, e ciò non incoraggia uno spirito di solidarietà e di generosità».

«Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni […] sono chiamate a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan […]. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela». Fin qui Berlinguer, ma potrebbe essere la cronaca ecclesiale delle ultime settimane. Quella che per il Segretario del Partito Comunista era un’occupazione da parte dei partiti, nella Chiesa assume la forma di un certo male inteso clericalismo, elitario e lobbista, venato di cortigianeria e favoritismi, che tutto tace e tutto giustifica, che occupa spazi di potere e non si cura di avviare processi nel tempo.

La Chiesa lo sperimenta nel confronto quotidiano ed epocale con il mondo politico, nazionale e internazionale, sempre più caratterizzato dal delinearsi di populismi, intransigenze e indiscriminati permissivismi, ma anche al proprio interno. È certa Chiesa dei “briganti” delle correnti secolariste (un evidente controsenso, ma mai sopito), delle lobby omosessualiste (adombrate durante la crisi degli abusi sessuali sui minori e ben poco desiderose di una vera pastorale delle persone con tendenze omosessuali), delle differenti ideologie femministe e laiciste (tutt’altro che interessate ad un sincero coinvolgimento di donne e laici nella vita della Chiesa). «In questa linea, torno a rilevare con dolore che “già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco”», prosegue il Papa nell’enciclica, al n. 113.

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È quasi scontato trovarci un parallelismo con i fatti di cronaca di certa Chiesa snudata in prima pagina, dagli scandali di ieri come in quelli reali o presunti di oggi. D’altronde, «quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare» (n. 206). Che siano le leggi della democrazia o quelle di Dio.

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