Fiducia supplicans. Incoraggiando e articolando il nuovo

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È forse giunto il momento di superare l’idea di una comunicazione vaticana sistematicamente incapace di trasmettere il messaggio desiderato. Come nella musica, fatta sia di suoni che di silenzi.


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«Et claritas Domini
circumfulsit illos»
. Le celebrazioni del tempo di Natale hanno spesso evocato la luce, un “chiarore” che viene da Dio, che si fa anche “chiarezza” nell’annuncio. Quasi che questa fosse una virtù imprescindibile fin dall’inizio della storia della Salvezza. Un modello che, oltre duemila anni dopo, per molti cristiani è ancora difficile da introiettare.

Chiarezza e chiarimenti

Ne è un esempio, comunque la si pensi sul tema, il recente caso della Dichiarazione Fiducia supplicans, le cui braci polemiche, tutt’altro che estinte, si sono mescolate in questi giorni agli incensi della liturgia.

Indicativo è il proliferare di interviste, anche in un impegnativo periodo di festività, del card. Víctor Manuel Fernández dopo la pubblicazione della Dichiarazione. Una dinamica che ricorda i giorni immediatamente successivi alla nomina a nuovo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede: difficile trovare paragoni nella storia più o meno recente, con rivendicazioni, accuse ai nemici (o presunti tali) e illustrazione delle proprie pubblicazioni.

Un falso problema?

«Ho una figlia [omosessuale] sposata in Polonia che ha bisogno di quella benedizione. Ha ottenuto la benedizione paterna da me, ma non dalla Chiesa. In alcuni posti [gli omosessuali] sono rifiutati con molta forza». Non si tratta che di una delle numerose testimonianze di fedeli cattolici raccolte dopo la pubblicazione della Dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede. Per inciso, nel caso citato, siamo nella cattedrale di Buenos Aires (qui il servizio integrale di AP).

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Testimonianze illuminanti circa la maniera in cui è intesa la Dichiarazione. Ma non solo: utili a smascherare uno fra i principali cortocircuiti interni al documento: quanti, omosessuali o eterosessuali, «non rivendicano la legittimazione di un proprio status» di coppia trovano già, nella grande maggioranza dei casi, inclusione nella Chiesa (per esempio, attraverso la partecipazione attiva alla vita della comunità cristiana, la preghiera, la carità, l’educazione cristiana dei figli, senza dimenticare la Comunione spirituale); quanti invece lo rivendicano non rientrano, almeno ufficialmente, nella casistica di Fiducia supplicans. L’equivalente di un falso problema, dunque? E, se così fosse, perché affrontarlo?

Senza entrare nelle complesse questioni teologiche e dottrinali chiamate in causa dalla Fiducia supplicans, è importante riflettere sulla prevedibile narrazione del documento da parte dei media, e soprattutto su come questo è già, e ancor più sarà, recepito e compreso dalla grande maggioranza dei fedeli cattolici, a partire dal senso di approvazione e buon augurio comunemente attribuito alla benedizione.

“Prevedibile”, scrivo, perché, salvo umane eccezioni, è forse giunto il momento di superare l’idea di una comunicazione vaticana sistematicamente incapace di trasmettere il messaggio desiderato, sorpresa e stupita, vittima di continui fraintendimenti, stravolgimenti e manipolazioni da parte dei media.

Che ci sia (anche) un problema nella comunicazione della Chiesa è fuor di dubbio, ma dopo anni – per tacere dei millenni – di rapporto con i singoli e con le masse, non è credibile che la Chiesa sia a tal punto impreparata ai cambiamenti nei mezzi e nei linguaggi della comunicazione sociale. È più credibile, invece, che nel nuovo corso imboccato da qualche tempo si sappiano governare, traendone vantaggio, parole e reazioni, detto e non detto. Come nella musica, fatta sia di suoni che di silenzi.

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Incoraggiare e articolare

Un terreno su cui il card. Fernández è esperto, portato com’è a definirsi più per sottrazione che per affermazione. «Mi è sempre piaciuto comunicare attraverso i mass media. […] Da alcuni anni metto frequentemente riflessioni su Facebook e Twitter», ricorda il card. Victor Manuel Fernández in una delle numerose interviste concesse all’indomani della nomina a prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede. Non è un caso che anche nell’intervista raccolta da p. Antonio Spadaro per La Civiltà Cattolica si insista sul tema della comunicazione. «Con un linguaggio accessibile, la teologia entra in dialogo con la vita concreta, le ansie e le speranze della gente, e così mostra la sua massima fecondità», spiega in quell’occasione il card. Fernández. «Perciò il teologo non cerca nel proprio lavoro soltanto una realtà conoscitiva, ma anche una realtà costitutiva, in grado di creare cose nuove nel mondo e nella Chiesa, di incoraggiarle, di articolarle, e inoltre comunicativa ed efficace, capace di illuminare altri e di aiutarli a vivere».

La sensazione, quindi, è che si sia ben consci di quanto di «nuovo nel mondo e nella Chiesa» si vada «incoraggiando» e «articolando», anche attraverso la comunicazione, forse soprattutto quando questa sembra allontanarsi dai contenuti scritti e dalle intenzioni ufficiali, per avventurarsi nel terreno accidentato dell’interpretazione più immediata.

Benedetta confusione

Non è allora una coincidenza che nel caso della Fiducia supplicans, tralasciando le speculazioni ideologiche, gran parte dei nuovi dubbi dell’episcopato internazionale si concentrino più sulle immaginabili conseguenze dell’applicazione del documento nelle comunità cristiane, che non sui suoi contenuti.

Con un termine che si è imposto sugli altri: confusione. Come se si fosse consapevoli che i rischi maggiori risiedono più nel non scritto e nel non detto, nella confortevole banalizzazione del sentito dire, che «incoraggerà» e «articolerà» quel «nuovo» che forse non si è scritto o detto, ma si è lasciato che venisse inteso. Con una forza decisamente più pervasiva di qualunque tradizione, vincolo e rassicurazione; più pericoloso di ogni presunta eterodossia, perché concede la falsa libertà ad ognuno di «incoraggiare» e «articolare» il «nuovo» che gli è più confacente.

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