Dopo l’Ucraina, lo scenario della diplomazia vaticana si complica con la possibile apertura di un fronte con Israele. Uno schema ricorrente, su cui vale la pena interrogarsi.
«Il Papa non può avere un ruolo di mediazione» in quanto, non avendo preso esplicitamente le parti di uno dei contendenti, «non è credibile». Sono le dure parole di Mykhailo Podolyak, capo consigliere del presidente ucraino Zelensky, che solo un mese fa accusavano Francesco di essere filorusso, le prime a tornare alla mente con quello che rischia di essere un nuovo fronte aperto con Israele.
“Immoralità linguistica”
A chiamare in causa la Santa Sede è la stessa Ambasciata d’Israele, che in un duro comunicato stampa replica alla dichiarazione di Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme del 7 ottobre scorso. «Non è fuori contesto ricordare che oggi [9 ottobre] avrà inizio presso l’Università Gregoriana un convegno di tre giorni sui documenti del pontificato di papa Pio XII e sul loro significato per le relazioni ebraico-cristiane. A quanto pare, qualche decennio dopo, c’è chi non ha ancora imparato la lezione del recente passato oscuro».
Al centro dell’aspra reazione dell’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede, che rievoca una delle pagine più buie per il popolo ebraico e fra le più controverse della Chiesa, c’è quella che, senza mezzi termini, viene definita «l’immoralità dell’uso dell’ambiguità linguistica» da parte di Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme. «Molti non hanno avuto difficoltà a capirlo e hanno condannato l’orrendo crimine, nominando i suoi autori e riconoscendo il diritto fondamentale di Israele a difendersi da queste atrocità». Altri invece no, è la conseguenza, neppure troppo implicita, del comunicato stampa israeliano.
Da qualunque parte possa giungere: in Israele come in Ucraina
Tra i passaggi incriminati della dichiarazione c’è, con ogni probabilità, quello in cui i leader religiosi condannano «ogni forma di attacco ai civili da qualunque parte possa giungere». Si tratta di una presa di posizione divenuta nulla affatto rara dopo oltre un anno e mezzo di guerra della Russia in Ucraina: quella che per l’Est Europa è stata definita «equivicinanza» ha generato più di un incidente diplomatico fra il governo di Kiev e il Papa.
Non è un caso che si inseguano già ora affrettati parallelismi. C’è chi vede nell’attacco di Hamas su Israele una violenza simile a quella perpetrata a Buča e Charkiv in Ucraina, ma anche al Bataclan, il locale parigino teatro di un sanguinoso attentato terroristico nel novembre 2015 (e di non poche polemiche sulla presunta renitenza di papa Francesco ad ammettere la matrice islamista dell’attacco).
Volti di giovani che ora si assommano e confondono fra rave party nel deserto israeliano e strade di metropoli europee, una sintesi macabra che, complice il riconcorrersi dell’informazione globale, finisce con il ridurre ulteriormente gli spazi di manovra – e la reale comprensione – dello scenario mondiale.
Israele, Ucraina e oltre
Se, dal canto suo, Zelensky è stato fra i primi a manifestare al presidente israeliano Netanyahu la «solidarietà» dell’Ucraina e le «condoglianze per le molteplici vittime», il presidente ucraino non ha mancato di rilevare le «conseguenze dell’attacco per la situazione di sicurezza nella regione e oltre». Un “oltre” che già dice di un tetro gioco di vasi comunicanti che unirebbe Ucraina e Israele, nel quale ad agitare le acque sarebbero Russia e Iran. Un “asse del male”, per dirla con un linguaggio caro alla dottrina Bush, al quale opporre un bene che non accetta mezze misure o tiepidi neutralismi.
Arabia Saudita, Turchia, Egitto ed Emirati Arabi sono già della partita. Gli Stati Uniti di Joe Biden, in profonda crisi politica, annunciano l’invio di portaerei nel Mediterraneo Orientale. Quel mare ai piedi di un’Europa da cui, salvo alcune dichiarazioni di circostanza, una volta di più non giunge alcunché di concreto.
Illusioni di sicurezza
La rapidità della reazione americana non deve trarre in inganno: certo la partita coinvolge uno Stato, Israele, che per molti versi non ha eguali nello scenario mondiale, ma ad essere in gioco è anche la credibilità dell’intelligence statunitense, che mal si accompagna – davvero? – al fallimento dei servizi segreti considerati tra i migliori al mondo: Mossad e Shin Bet. Una messa a nudo delle proprie vulnerabilità che è ancora più cocente se si paragona a quella, con diversi esiti, originata dall’assalto al Campidoglio Usa del 6 gennaio 2021.
Spazi di conversazione e guerra delle guerre
Uno scenario che sta già creando, c’è da immaginarselo, più di un mal di pancia Oltretevere. Da sempre l’interventismo diplomatico della Santa Sede non la pone – né potrebbe – nelle condizioni di agire come ogni altro potere politico, perché la sua natura è profondamente diversa. Si è ben consapevoli che, per dirla con l’ultima esortazione apostolica di papa Francesco, Laudate Deum, il mondo è sempre più «multipolare e allo stesso tempo così complesso» (n. 42). D’altro canto, si è pure convinti che «sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni» (n. 43).
La violenza su vasta scala in atto in Israele e a Gaza è un pezzo in più di questa guerra mondiale a pezzi, dove la guerra in Ucraina, pur nella sua unicità e diversità, non è più la guerra delle guerre. Perché ciò che coinvolge Israele e il Medio Oriente ha il potere di unire il mosaico della guerra mondiale a pezzi in un unico, tragico disegno distorto.
Aggiornamento 9 ott 18.21
È notizia di queste ore, e non sorprende, che in campo cattolico la punta “linguisticamente” più avanzata nella condanna agli attacchi di Hamas in Israele sia la Chiesa greco-cattolica ucraina. «Si tratta di un vile attacco terroristico compiuto dai militanti di Hamas durante le festività religiose ebraiche, mentre milioni di persone erano riunite nelle sinagoghe in preghiera o riposavano pacificamente», si legge in una nota. «I terrificanti video ci ricordano la drammatica situazione che l’Ucraina ha subito e sta tuttora subendo durante l’invasione aggressiva della Russia».
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È una situazione molto intricata. E non tutti i musulmani sono ‘asliyyn, radicali, mentre Hamas è chiaramente un movimento terroristico. Però è diffuso tra i musulmani naturalmente il disprezzo per gli “umiliati”, ma specialmente verso gli ebrei. Tranquillamente, quotidianamente, la Fatiha veicola questo giudizio: ‘ihdinà es-sirat el mustaqym, sirat el ladhinà ‘an’amta ‘alayhim, ghayra sirat el-ma’dubi ‘alayhim wa là ed dallyn, guidaci sulla via retta, la via di coloro che hai riempito della tua grazia (i musulmani), non la via di coloro sui quali è la tua collera (gli ebrei), né degli smarriti (i cristiani). Crea certamente una mentalità del disprezzo e una frustrazione profonda se l’islam è dominato da coloro che il Corano ti invita a disprezzare.
Ma sono profondamente d’accordo che ci sono delle soglie e l’aggressore non può essere assimilato all’aggredito. Chi prende le armi per primo, specialmente contro le popolazioni civili, attraversa questa soglia e va condannato per questo specifico gesto di usare le armi per primo.