Due suggestioni e una fake news sull’incontro del Papa con i rom

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La mafia, una svastica e la politica. Note a margine di un incontro di preghiera e di festa.

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Un motu proprio contro gli abusi sessuali nella Chiesa, un’udienza in Vaticano a centinaia di rom e di sinti e il tradizionale incontro con la diocesi di Roma. Fin troppo materiale per una sola giornata. Curioso, allora, soffermarsi su alcune note a margine.

Mafia nostrana
«Niente rancore, perché il rancore ammala il cuore, la testa, la famiglia, ammala tutto, e porta alla vendetta», ha detto questa mattina Francesco nell’udienza concessa a rom e sinti in Vaticano. Per poi precisare: «La vendetta non l’avete inventata voi. In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta, gruppi capaci di creare vendetta e di vivere nell’omertà. Ci siamo capiti». Oggi queste parole di Francesco sono passate quasi ignorate, ma un episodio simile, solo poche settimane fa, aveva suscitato un certo clamore. Il Papa, allora, aveva evocato le mafie nostrane nel contesto del crimine organizzato di origine nigeriana. A far parlare di sé, però, era stato soprattutto lo stralcio di questo riferimento dalla trascrizione ufficiale del discorso del Papa. Che oggi però, dal canto suo, replica.

Svastica e martiri
Nel pomeriggio il contesto muta, la preghiera cede il passo alla festa e gli splendidi affreschi della battaglia di Lepanto della Sala Regia del Palazzo Apostolico sono sostituiti dall’auditorium del Santuario del Divino Amore. A fare da sfondo a musiche, poesie e testimonianze di vita una singolare opera artistica: un Cristo inchiodato ad una croce uncinata. A ben guardare, lo stesso Gesù è interamente realizzato con filo spinato. Il chiaro rimando alla svastica nazista e il senso dell’opera sono chiariti dallo stesso artista rom Bruno Morelli, intervenuto alla manifestazione: ricordare il Porrajmos, il “grande divoramento”, lo sterminio di migliaia “zingari” di diverse etnie nei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale. La scelta di affiggere Cristo ad un simbolo ideologico ha almeno un precedente illustre, per quanto probabilmente non desiderato: il discusso dono fatto dal presidente boliviano Evo Morales a papa Francesco di un crocefisso con falce e martello. Apologia del Comunismo, dissero i più. Realtà storica che raffigura i molti màrtiri cristiani del Comunismo, scrisse una voce isolata. In altre parole, un solenne – e purtroppo incompreso – autogol di Morales.

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Politica e preghiera
Rimanendo in argomento, non stupisce la lettura politica offerta da molti commentatori rispetto all’udienza concessa ai rom e ai sinti dal Pontefice. L’aggancio con l’attualità delle contestazioni di Casal Bruciato era troppo ghiotta. In realtà, ad essere sottovalutati sono la prassi necessaria per rendere possibile un evento del genere, nonché lo sforzo organizzativo che gli sta alle spalle, tali da richiedere settimane, se non mesi, di preparazione. Nessuna pianificazione “a posteriori” sull’onda dei fatti, quindi, bensì una semplice coincidenza di tempi e di eventi. Un’interpretazione eminentemente politica dell’incontro sarebbe, poi, quantomeno riduttiva. Tanto più che da tempo, ormai, l’azione della Conferenza episcopale italiana non è quella di rispondere colpo su colpo, in difesa. Quanto, piuttosto, un gioco in avanti. In uscita.

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