L’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini visita il sacerdote anti-Salvini Giorgio De Capitani. Che prima di Salvini, insultava lui. La lezione di un arcivescovo definito «incapace».
Fa notizia in queste ore la visita dell’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini al sacerdote ambrosiano Giorgio De Capitani, condannato lo scorso 11 novembre dal Tribunale di Lecco a seguito di una querela presentata dal leader della Lega ed ex ministro degli Interni Matteo Salvini per i commenti diffusi a più riprese dal sacerdote sul proprio blog.
Dal canto suo, la Curia di Milano in una nota spiega che «l’arcivescovo è andato a trovare un suo prete, come fa con tanti altri». Un linguaggio diplomatico, che però non basta a ridimensionare la portata umana dell’incontro fra l’arcivescovo e don Giorgio De Capitani, che per le implicazioni istituzionali e personali è in grado di evocare pagine simili del passato, come l’incontro in ospedale fra il card. Angelo Bagnasco e don Andrea Gallo, nel 2013, con quest’ultimo già gravemente malato.
Perché se negli ultimi mesi don Giorgio De Capitani è divenuto noto soprattutto per le sue posizioni contro Matteo Salvini, da anni lo è per quelle, non meno dure, nei confronti dell’Arcidiocesi di Milano, a cominciare proprio dalla sua guida attuale, mons. Delpini. «Ho ascoltato l’intervento finale di Mario Delpini», scrive don Giorgio De Capitani il 10 marzo scorso, a commento di un dibattito fra l’Arcivescovo e alcuni amministratori locali del lecchese. «Ancora una volta ho ascoltato parole vuote, senza senso, insulse, scoraggianti, deludenti, veramente offensive nei riguardi delle autorità presenti», proseguiva il sacerdote dal suo blog. «Mario Delpini non sa che cosa sia né il bene comune né il pensiero. Ha le idee confuse. Ha il cervello vuoto! Finché sarai seduto sulla cattedra di Sant’Ambrogio in Milano sentirò il dovere di urlare: Dimettiti!». Entrando, poi, a gamba tesa in vicende delicate che coinvolgono la Chiesa milanese. «Non è solo per il caso di don Mauro Galli, condannato per pedofilia, che tu [Mario Delpini, NdR] hai cercato di coprire, ma perché la tua pastoralità, ovvero il tuo essere pastore alla guida della Diocesi milanese, è del tutto inutile ed è dannosa. Ciò che è inutile è anche dannoso, proprio perché, essendo inutile, crea un buco, la cui vacuità peserà sul futuro della Diocesi milanese. Qualcuno mi dice: “Dovrebbe essere lui a capirlo!”. No, non lo capirà mai, chiuso com’è in una tale supponenza che gli fa credere di avere un carisma fuori del comune».
Di insulto in insulto, don Giorgio De Capitani non si fa scrupolo di cavalcare il plauso di un certo pubblico, facendosi una reputazione in Rete. Di che tipo, a giudizio dei lettori. Il sacerdote ne ha per tutti: da papa Francesco («Una buona dose di superficialità con cui sta guidando la Chiesa cattolica, con quel buonismo tipico di chi crede di conquistare il mondo spargendo sorrisi, facendo battute ad effetto») a Donald Trump («Va ammazzato»), passando per il mondo politico e giornalistico italiano («Corradino Mineo, un frustrato vittima di un complesso di inferiorità»).
Ma è nei confronti della Curia di Milano che le critiche accalorate del sacerdote arrivano ad essere una vera e propria “linea editoriale”, già evidente nei titoli degli articoli di De Capitani: «Mario Delpini, non sai fare il “vescovo”! Fai il politicante balbettando “invano”! Applausi al nulla! Poveretto! Per fortuna che a Milano c’è Giuseppe Sala!», «Mons. Delpini tentò di insabbiare l’abuso sessuale di don Mauro Galli: Papa Francesco fino a quando potrà ignorare il caso?», fino ad apici di cattivo gusto quali «Mons. Delpini è “CACA” Sterco: parola di papa Francesco!». Né, tantomeno, si limitano ad unica persona. Anche il card. Angelo Scola, infatti, è stato per anni nel mirino del sacerdote, che recentemente concludeva: «Abbiamo avuto un altro vescovo, il suo predecessore, con dei problemi di equilibrio su cui non vorrei infierire, ma Angelo Scola, al confronto con Delpini, era un genio».
E oggi? Nel dare notizia della visita ricevuta da mons. Delpini, «senza tuttavia cedere di un millimetro», don Giorgio De Capitani giudica di avere “donato” le proprie sparate in pasto al pubblico della Rete «forse con troppa audacia». Eppure, proprio rispetto ad esse De Capitani rivendica uno scopo e, in certa misura, anche un risultato. «Sì, pestavo sempre più i piedi in attesa che qualche pezzo grosso della Curia milanese reagisse, nella speranza che si aprisse qualche spiraglio per un dialogo, all’inizio magari difficile, ma che avrebbe portato, con la buona volontà di tutti, ad una soluzione pacifica. No! Ci è voluto una condanna pesante perché succedesse come un miracolo». Un “miracolo” non soltanto spirituale ed umano, ma anche estremamente pratico, se è vero, come riferisce lo stesso De Capitani, che in una telefonata giunta subito dopo la sentenza di condanna mons. Franco Agnesi, vicario generale dell’arcidiocesi di Milano, gli «esprimeva sentitamente solidarietà, disposto anche, forse in nome della Curia, di aiutarmi economicamente, vista l’ingente somma che “dovrei” versare a Salvini e allo Stato». Non male per una diocesi che don Giorgio definisce «cieca e interdetta». Ma evidentemente non sorda alle urla di aiuto esistenziale, nella forma di sproloqui, di un sacerdote in palese disagio umano e spirituale. Una grande lezione di misericordia da parte di un vescovo definito «incapace», con buona pace per De Capitani, che nel 2015 titolava: «Giubileo, vaff….».
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.
Sembra che in molti si siano accorti della pochezza di questo vescovo. Meno il papa.
Se i detrattori condividono lo stile di don Giorgio De Capitani, francamente, non ne andrei orgoglioso. Non crede che sarebbe meglio esprimere le proprie opinioni, con libertà, ma con maggiore rispetto?
Poveri cattolici noi rimasti; dov’è finita la carita cristiana così importante per la comunità e che il clero dovrebbe propugnare senza lasciarsi andare a parole da trivio proprie di persone da poco. Ci si stupisce del calo continuo dei fedeli ma, con preti e prelati del genere, è ancora poco. Cristo ha detto “ma quando tornerà il figlio dell’uomo troverà ancora fede sulla terra?” Allora guai a chi avrà dato scandalo, sarebbe meglio per lui non fosse mai nato.
Come fa la Chiesa a lasciar operare una persona del genere. Non si può chiamare sacerdote chi insulta tutti e vuol ammazzare persone. E’ IL CONTRARIO netto di quello che dice il Vangelo di Gesù. Veramente i suoi discorsi non si possono sentire. Chi di competenza intervenga e lo tolga dalle nostre chiese, Grazie