Diaconi donna: se ne discute da tempo nella Chiesa ortodossa e con papa Francesco anche in quella cattolica. Dopo Martini e Kasper. In funzione sacerdotale? Non solo. Chi sono e cosa fanno le diaconesse fra i cristiani d’Oriente.
Era prevedibile che il semplice accenno all’esame del diaconato femminile da parte di papa Francesco – interpretato come l’ennesima “apertura”, secondo un refrain giornalistico sempre più monotono – avrebbe scatenato congetture e premature felicitazioni e allarmismi. In realtà la discussione attorno alla figura delle diaconesse è aperta da tempo e non solo nella Chiesa cattolica.
«Costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione? Credo di sì. Sarebbe bene per la Chiesa chiarire questo punto». Tanto è bastato il 12 maggio scorso, in occasione dell’udienza concessa all’Unione internazionale superiore generali (Uisg), per scatenare un caso internazionale, complice anche la revisione del ruolo delle donne all’interno della Chiesa più volte auspicata da Francesco – non, comunque, nella forma della clericalizzazione, cioè della “apertura” al sacerdozio femminile, come più volte specificato – e il recente rilancio del mensile dell’Osservatore Romano Donne Chiesa mondo.
Il dibattito sul diaconato femminile, in realtà, è di ben più antica data. Se i più ricordano le parole dell’allora arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini («Nella storia della Chiesa ci sono state le diaconesse, possiamo pensare a questa possibilità») – complice anche [un articolo del vaticanista Andrea Tornielli apparso sulla Stampa del 12 maggio e] la pagina di Wikipedia dedicata alle diaconesse, ripres[i] pressoché testualmente da molti organi d’informazione italiani – fra i possibilisti del diaconato femminile – ma non del sacerdozio – negli ultimi anni figurano soprattutto i prelati tedeschi. Da mons. Robert Zollitsch, arcivescovo emerito di Friburgo in Brisgovia ed ex presidente della Conferenza episcopale tedesca, a mons. Franz-Josef Bode, vescovo di Osnabrück e già presidente della commissione pastorale della Conferenza episcopale tedesca, passando naturalmente per il card. Walter Kasper, non sono mancati pronunciamenti in questo senso.
Kasper, in particolare, da tempo è sostenitore dell’avvio di una riflessione attorno ad una specifica funzione diaconale per le donne, anche in riferimento alla diakonia femminile della prima comunità ecclesiale. Un ruolo, comunque, che non sarebbe equiparabile al diaconato maschile, ad oggi ancora primo passo dell’ordine sacro, anche nella sua forma cosiddetta – talvolta non propriamente – “permanente”. Tedesca è anche la Netzwerk Diakonat der Frau, la rete per il diaconato femminile, che ha esultato alla dichiarazione del Pontefice.
Se in molte Chiese protestanti il presbiterato – e in taluni casi l’episcopato – femminile è realtà già da tempo, Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa condividono la volontà – o la necessità – di riaprire il confronto sul diaconato femminile, insieme al timore che la sua reintroduzione possa spianare la strada all’ordinazione sacerdotale delle donne. Un dibattito, questo, proprio tanto della Chiesa ortodossa russa, nella quale prima della rivoluzione del 1917 si stava preparando la reintroduzione del diaconato femminile, quanto di quella in Grecia, dove già da alcuni anni è stato ripristinato il ministero delle diaconesse. Una decina di anni fa sembra che se ne contassero tre: una in missione in Estremo Oriente, una ordinata dall’arcivescovo Christodoulos quando era metropolita di Demetrias e la terza stabilitasi ad Istanbul, stando a quanto riferito nel 2004 dal quotidiano greco To Vima.
Così come nel cattolicesimo, anche in campo ortodosso il dibattito si concentra da tempo sull’indagine dell’effettiva ordinazione delle diaconesse. Forte è infatti l’incertezza attorno al ruolo che le donne ricoprivano nella Chiesa dei primi secoli ed in particolare se quella delle diaconesse fosse una ordinazione sacramentale a tutti gli effetti paragonabile a quella maschile.
Nelle Costituzioni apostoliche, sempre più in odore di arianesimo, alle diaconesse vengono riconosciuti compiti di primo piano: a loro spetta la cura pastorale delle donne pagane, l’amministrazione dell’Eucaristia alle malate e alle inferme, la carità alle indigenti e a nessuna donna era permesso parlare al vescovo senza prima passare per una diaconessa. Il ruolo maggiore si aveva però durante il battesimo per immersione alle donne, ritenuto sconveniente da amministrarsi da parte di uomo. Con l’introduzione del battesimo ai bambini l’importanza di questo compito venne meno. Quella delle diaconesse appare come un’opera condotta esclusivamente fra altre donne e nella sfera privata e le differenze rispetto ai diaconi emergono con evidenza in campo liturgico e nella celebrazione eucaristica, dove si ha un netto ridimensionamento del ruolo femminile e l’impossibilità delle donne di benedire.
Sebbene il rito di ordinazione delle diaconesse non sia mai stato depennato dai libri liturgici delle Chiese ortodosse, è innegabile che nella pratica le diaconesse costituiscano da secoli una realtà di netta minoranza e che il ruolo della donna nella Chiesa ortodossa si esprima più comunemente nella figura della papadia, la moglie del prete. La papadia – o presbytera, in greco – ha un ruolo riconosciuto nella società, specialmente fra le altre donne: spesso è lei a fare da tramite con il sacerdote-marito e a lei si chiede consiglio, anche in materia teologica.
È fuor di dubbio che qualsiasi processo di esame che voglia condurre a risposte serie e credibili dovrà passare da alcune constatazioni fondamentali. Nella Chiesa – cattolica o ortodossa – le donne sono sante, madri spirituali e di famiglia, modelli di carità, missionarie e catechiste. Se è vero che «la Chiesa è donna» e che «non è femminismo osservare che Maria è più importante degli apostoli», allora è altresì importante ricordare che Maria non fu sacerdotessa, senza che questo sminuisca il suo ruolo nella Redenzione e nell’onore resole dalla Chiesa. La clericalizzazione delle donne, insieme alla pretesa che ogni rivendicazione debba condurre necessariamente all’ordinazione sacerdotale femminile come unico modo per conferire alle donne una piena parità e dignità all’interno della Chiesa appare non solo privo di fondamento, ma anche riduttivo. Ogni «diversa attività» (cfr. 1Cor 12, 4-7) è servizio al corpo di Cristo che è la Chiesa e a «Dio, che opera tutto in tutti». Il destino delle donne nella Chiesa non è mai dipeso e non dipenderà dalla loro ordinazione sacerdotale, così come la valorizzazione e l’emancipazione femminili non passano obbligatoriamente per la loro clericalizzazione. E menomale.
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Il Sismografo
Gentile Simone M. Varisco,
ho letto il suo interessante articolo sul diaconato femminile. Mi corre però obbligo di fare una precisazione riguardo la citazione da Wikipedia, essendo io l’autore del paragrafo “Prospettive nella Chiesa cattolica” che ho aggiunto dopo il pronunciamento del Santo Padre, come avrebbe potuto verificare facilmente dalla cronologia della voce. Non sono i quotidiani che hanno ripreso da Wikipedia la notizia dell’intervento del cardinal Martini del 1994, ma sono io che ho preso dai giornali e dalle note risulta chiaro che ho citato da un articolo del vaticanista Andrea Tornielli, da La Stampa del 12 maggio 2016.
Gentile Don Ezio,
la ringrazio per la precisazione. Ne concludiamo che il suo lavoro su Wikipedia ha dato il meritato risalto all’articolo di Andrea Tornielli e fornito ad una parte della stampa italiana un’ulteriore fonte d’informazione, sovente non citata.
Nell’articolo, le precisazioni in merito sono aggiunte in [corsivo e fra parentesi].
Como siempre, un estupendo artículo de Simone!
¡Gracias por visitarme y por leer mis escritos!