Nelle scorse ore, pur con qualche doverosa correzione, la vicenda del vaccino anti Covid-19 di Johnson & Johnson, che sarebbe stato giudicato «assolutamente immorale» dalla Conferenza episcopale statunitense (USBCC), ha proseguito la propria corsa.
Strada facendo ha perduto qualche pezzo: si è finalmente compreso il ruolo (e l’esistenza) delle due Commissioni della Conferenza episcopale Usa, per esempio, ed è ora (quasi) comunemente accettato che mons. Kevin C. Rhoades, vescovo di Fort Wayne-South Bend, non è il presidente della Conferenza episcopale statunitense, come erroneamente riferito all’inizio della vicenda (ovviamente, invece, dal 2019 il ruolo è ricoperto da mons. José Horacio Gómez, arcivescovo metropolita di Los Angeles).
Nelle scorse ore, però, altri siti di informazione hanno riproposto la presunta rottura – si è parlato di vera e propria ribellione – fra l’episcopato statunitense e la Congregazione per la dottrina della fede, insistendo sul presunto giudizio di «assoluta immoralità» calato sul vaccino di Johnson & Johnson negli Usa, che contraddirebbe la nota della Congregazione diffusa il 21 dicembre 2020.
Ci sono, a dire il vero, alcune “novità”. In particolare una dichiarazione video di mons. Rhoades nella quale, però, questi afferma l’esatto contrario di quanto sostenuto da molti organi di informazione. «Non c’è alcuna necessità morale di rifiutare un vaccino, incluso il vaccino Johnson & Johnson, che è moralmente accettabile da usare», spiega il vescovo Rhoades nel video di un minuto e mezzo pubblicato ieri su YouTube.
Le nuove – che tali non sono affatto – dichiarazioni di mons. Rhoades sono in linea con quelle già espresse lo scorso novembre a proposito dei vaccini Pfizer e Moderna. I vaccini di Pfizer e Moderna «non sono completamente esenti da qualsiasi connessione con l’aborto, poiché sia Pfizer che Moderna hanno utilizzato una linea cellulare contaminata per uno dei test di laboratorio di conferma dei loro prodotti. Esiste quindi una connessione, ma è relativamente remota», spiegano Rhoades e Naumann in un memorandum interno del 23 novembre 2020.
«Alcuni affermano – proseguono i vescovi – che se un vaccino è collegato in qualche modo a linee cellulari contaminate allora è immorale essere vaccinati con esso. Questa è una rappresentazione imprecisa dell’insegnamento morale cattolico». Già a novembre l’intenzione dei vescovi delle due Commissioni era anche quella di chiarire «una certa confusione nei media riguardo all’ammissibilità morale dell’uso dei vaccini». Commissione locuta, causa finita? Difficile, in rete.
In conclusione, sorgono alcuni interrogativi: a chi giovano la banalizzazione, se non la falsificazione, della dottrina cattolica e la grave confusione diffusa tra i fedeli, in modo speciale in un periodo tanto delicato? E ancora: perché l’attenzione mediatica riservata alla vicenda, alimentata dall’interesse per le presunte fratture fra un peculiare episcopato nazionale e una Congregazione vaticana (leggasi: fra i vescovi statunitensi e papa Francesco), non si rivolge egualmente anche verso la mancanza di trasparenza e di coerenza dimostrata negli accordi con le case farmaceutiche, non soltanto in Europa, e ancor di più nei confronti di una distribuzione dei vaccini tutt’altro che equa ed etica nel mondo e all’interno dei singoli Paesi? Infine, perché non si attenzionano in egual modo anche altri prodotti che da anni si dice facciano uso di cellule derivate da feti umani abortiti, ad esempio nella cosmesi?
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