Auschwitz degli armeni distrutta. Il martirio che unisce Armenia e Siria

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Gli unici ad avervi prestato attenzione sono stati i miliziani dell’Isis, che l’hanno distrutta nella loro avanzata in Siria. Era il memoriale di Deir ez-Zor, l’Auschwitz degli armeni. Scomparso nell’indifferenza internazionale.

C’era una chiesa, nel deserto della Siria, che era il simbolo del genocidio armeno. Era la Chiesa dei Martiri Armeni di Deir ez-Zor. La chiesa era meta di pellegrinaggio per le migliaia di persone che ogni 24 aprile si radunavano per commemorare il genocidio. Dal 1915, infatti, Deir ez-Zor fu una delle principali destinazioni delle marce della morte cui i turchi condannarono gli armeni durante il Medz Yeghern, il “grande crimine”.

Deir ez-Zor, Chiesa dei martiri armeni, Siria. DistruttaCentinaia di migliaia di persone morirono a Deir ez-Zor e nel deserto circostante. Deir ez-Zor è per gli armeni quello che per gli ebrei è Auschwitz: la meta delle deportazioni, il luogo dove i sopravvissuti trovarono la morte, dove i loro resti vennero dispersi e dove in molti furono sepolti vivi nelle buche carsiche e dati alle fiamme. Uomini, donne e bambini, colpevoli di essere armeni agli occhi dei turchi ottomani e del loro alleato tedesco.

Nel 1991 in città, la più grande della Siria orientale, venne eretto un mausoleo a custodia dei resti di alcune delle vittime delle atrocità turche. A Deir ez-Zor gli armeni avevano il loro Yad Vashem e il complesso si era guadagnato l’appellativo di “Auschwitz degli armeni”. Oltre alla chiesa e al mausoleo, il complesso di Deir ez-Zor comprendeva un museo, degli archivi e un monumento a ricordo del genocidio.

Dalla fine del 2014 il complesso di Deir ez-Zor non esiste più, distrutto dalla ferocia dei miliziani dell’autoproclamato Stato islamico. Una ferocia che sempre più spesso si fa rimozione della storia, attraverso i suoi simboli più evidenti: chiese, moschee, mausolei, monumenti di arte, fede e memoria. Così è stato a Mossul, ad Aleppo, a al-Raqqa, a Palmira e in centinaia di altre città gettate nel deserto fra Siria e Iraq. Una guerra contro la memoria che l’Isis ha già perso prima ancora di quella militare.

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