Lat. benedicĕre, comp. di bene e dicĕre, propr. “dir bene” e nel lat. eccles. (come traduz. del gr. εὐλογέω) “benedire”. Certamente il significato – e il senso – della benedizione si estendono ben al di là dei confini etimologici. In quanto sacramentale, la benedizione ha una “certa imitazione” dei sacramenti. Nel sentire comune, la benedizione è un’invocazione della grazia divina su qualcuno o su qualcosa, un’invocazione di protezione e di bene. Per altri, invece, è tutta un’altra cosa.
Di benedizioni si è parlato a lungo in relazione al responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, del 15 marzo scorso. Nel negare che la Chiesa disponga del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso, la Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’approvazione di papa Francesco, precisava che «la risposta […] non esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale, le quali manifestino la volontà di vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale, ma dichiara illecita ogni forma di benedizione che tenda a riconoscere le loro unioni», tanto più – prosegue la Congregazione – «in quanto costituirebbe in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale».
Da qui la nutrita salva di reazioni di segno opposto, fuori e dentro la Chiesa cattolica, i pro e i contro, le circostanziate e quelle meno, le speculazioni sul presunto venir meno della Chiesa come Madre, ma anche la constatazione della coerenza con altre comunità cristiane, non ultima quella ortodossa. «Anche da noi nelle parrocchie ortodosse vengono le persone dell’orientamento omosessuale. Ogni tale persona può rivolgersi a un sacerdote per la benedizione e il sacerdote non può rifiutargliela. Però se tale uomo o donna gli chiede la benedizione per vivere in un’unione omosessuale, il sacerdote gliela rifiuta», ha precisato l’arcivescovo Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca. «Per quanto capisca, in questa questione esiste un’accordo completo fra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica».
Di benedizioni si è tornati a parlare da ieri sera, dopo la morte del prof. Hans Küng. «L’incontro si è svolto in un clima amichevole. Entrambe le parti erano d’accordo che non avesse senso entrare, nel quadro dell’incontro, in una disputa circa le questioni dottrinali persistenti tra Hans Küng e il Magistero della Chiesa Cattolica». È sufficiente questo breve passaggio della dichiarazione dell’allora direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Joaquín Navarro-Valls, per comprendere il lungo e complesso rapporto di Küng con la Chiesa cattolica. Era il 26 settembre 2005 e l’allora pontefice Benedetto XVI riceveva in udienza a Castel Gandolfo quello che fu un teologo cattolico di Tubinga.
In gioventù un rapporto di amicizia, in seguito guastato da alcune opinioni di Küng, opposte, in diverso grado, alla dottrina cattolica: l’infallibilità della Chiesa, la valida consacrazione dell’Eucaristia, ma anche il celibato dei presbiteri, il sacerdozio femminile, la questione della comunione eucaristica con le Chiese protestanti, particolarmente sentita in Germania. Fino alla rottura definitiva, nel 1979, con la Dichiarazione circa alcuni punti della dottrina teologica del professore Hans Küng, diffusa dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, nella quale si precisava come Küng sia «venuto meno, nei suoi scritti, all’integrità della verità della fede cattolica, e pertanto non può più essere considerato teologo cattolico né può, come tale, esercitare il compito di insegnare». Segue un quarto di secolo di sostanziale lontananza, lungo quanto il pontificato di Giovanni Paolo II. E poi la «delusione gigantesca» per l’elezione a pontefice di Joseph Ratzinger, pubblicamente espressa dallo stesso Küng, ma anche una prudente distensione nei rapporti.
Da ieri è un cardinale e teologo tedesco, Walter Kasper, a parlare di benedizioni. «Già l’estate scorsa [Hans Küng] era molto debole, si temeva stesse morendo. Così chiamai il Papa e subito Francesco, attraverso di me, gli mandò la sua benedizione. Hans ne fu molto contento, per lui era importante». Di per sé, nulla più che la notizia di un fatto. Si darà il giusto significato all’episodio, passerà inosservato oppure siamo all’inizio di una nuova contrapposizione tutta mediatica fra l’attuale Pontefice e il Papa emerito, fra presunti progressisti e supposti conservatori? Benedire per poi sentire dire male? Esattamente quel contrasto nella comunità ecclesiale per il quale nei giorni scorsi ha espresso «preoccupazione» il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. E per il quale soffre la Chiesa intera.
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