Di erbe tradizionali, microchip nascosti e appelli a fare del vaccino al Covid un’opportunità

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Ci sono di mezzo le erbe, ma anche la religione. Questione di sfumature, anche molto sostanziali. E se c’è chi denuncia nanotecnologie in grado di controllare la mente, sono in pochi ad evidenziare il rischio di perdere l’ennesima opportunità per edificare finalmente una casa comune.

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È al tempo stesso un’opportunità e uno schiaffo la notizia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha approvato un protocollo per testare l’efficacia di alcuni prodotti africani basati su erbe medicinali nel trattamento del Covid-19 e di altre epidemie. Un’opportunità, perché ogni nuova speranza, in special modo se sottratta agli interessi della politica e della finanza, è un motivo di gioia. E uno schiaffo, grossomodo per le stesse ragioni.

Per la verità, in Africa si parla da tempo di presunte cure a base di erbe. Ad inizio maggio aveva fatto discutere l’iniziativa promossa dal presidente del Madagascar, Andry Rajoelina, di voler dare inizio alla distribuzione gratuita a tutta la popolazione di una bevanda a base di erbe, a suo dire efficace contro il Covid-19. La bevanda, denominata Tambavy CVO CovidOrganics, è prodotta da un istituto di ricerca del Paese, il Madagascar Institute of Applied Research (IMRA), e sarebbe a base di artemisia, una pianta erbacea il cui principio attivo si è dimostrato utile contro la malaria. Nonostante l’assenza di prove scientifiche che ne dimostrino l’efficacia, il ritrovato malgascio ha già conquistato l’interesse di diversi Paesi africani, fra i quali Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau, Senegal e Tanzania.

Ma a sostenere l’utilizzo di preparati a base di erbe tradizionali non è però solo la politica. Auspicabilmente, con ben altri interessi. «In Camerun abbiamo sconfitto il Covid-19», ha dichiarato pochi giorni fa in una conferenza stampa mons. Samuel Kleda, arcivescovo cattolico di Duala e fino allo scorso anno presidente della Conferenza episcopale nazionale del Camerun. Già ad inizio agosto il prelato aveva celebrato la fine dell’epidemia nel Paese. «Abbiamo sconfitto il coronavirus. La scorta di rimedi per questa pandemia è ferma da qualche giorno nei nostri ospedali cattolici, perché non ci sono quasi più malati. Rendiamo grazie a Dio e alla Santissima Vergine Maria per questa meraviglia», aveva dichiarato allora l’Arcivescovo, convinto che un rimedio a base di erbe, da lui stesso creato (“Adsak Covid”, “Elixir Covid”), avesse contribuito alla vittoria sul virus. Non una cura, beninteso, ma un “aiuto naturale”. Coerentemente, ma forse con un eccesso di ottimismo, mons. Kleda aveva anche autorizzato nelle parrocchie poste sotto la propria autorità la ripresa dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, dei funerali con il popolo e dei battesimi.

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Se per mons. Kleda «nessun camerunese potrà più morire di coronavirus», a raffreddare gli entusiasmi aveva pensato il confratello e connazionale mons. Jean Mbarga, arcivescovo metropolita di Yaoundé. «Viviamo momenti molto difficili», aveva dichiarato a pochi giorni di distanza in un’omelia dalla parrocchia di Sainte Odile de Nomayos, nel distretto di Mbankomo. «Tenete le mascherine perché l’epidemia di coronavirus non è terminata». Messaggi discordanti, che una parte della stampa camerunense non aveva mancato di amplificare. L’ennesima, piccola ma sostanziale, divisione in una Chiesa chiamata ad un ruolo di unità e di mediazione in un Camerun già segnato dal conflitto tra francofoni e secessionisti anglofoni, che non risparmia di creare fratture anche nello stesso clero.

Che l’epidemia di coronavirus abbia esacerbato frizioni già esistenti è cosa nota. È accaduto in Europa, Italia compresa, negli Stati Uniti e in America Latina, dove un caso di particolare sofferenza è rappresentato dal Nicaragua, con uno scontro fra Chiesa cattolica e autorità negazioniste di regime sfociato nella violenza. Ma ad essere caldo non è soltanto il fronte cattolico.

Per mezzo del vaccino contro il coronavirus Covid-19 «il sistema anti-cristiano globale vuole introdurre microchip nei corpi delle persone che li aiuteranno a controllarle attraverso la tecnologia 5G» della telefonia mobile e cellulare. Parola di Chiesa ortodossa moldava, la comunità religiosa principale nel Paese est-europeo, canonicamente subordinata al Patriarcato ortodosso di Mosca. «La vaccinazione introduce nanoparticelle nel corpo, che reagiscono alle onde trasmesse dalla tecnologia 5G e consente al sistema di controllare gli umani a distanza». Al centro dei sospetti ci sono Bill Gates, Microsoft e altri colossi dell’informatica e delle tecnologie. Sarebbe soltanto la trama di un film già visto, se non fosse che un sondaggio realizzato quest’anno dall’americano International Republican Institute ha rivelato che la Chiesa ortodossa moldava è l’organismo nel quale i cittadini hanno maggiore fiducia. In grado, cioè, di intercettarne i timori e indirizzarne preoccupazioni e consensi molto più di quanto non siano in grado di fare i numerosi video a sostegno delle medesime teorie banditi da YouTube nelle scorse settimane.

Era solo questione di tempo, e neppure molto, prima che assistessimo ad un’invasione di teorie della cospirazione, integralisti no-vax e menefreghisti insofferenti alle restrizioni sanitarie. Con i social media a fare da gran cassa di risonanza, il fenomeno acquista sempre più rapidamente una dimensione globale. Se in Africa ha fatto scalpore il caso di Augustine Yiga, già contestato predicatore della Revival Christian Church, arrestato su mandato del tribunale di Kampala per aver negato la presenza del coronavirus in Uganda e nel continente africano, stupisce che le medesime posizioni siano espresse anche da storiche denominazioni cristiane in Europa e negli Stati Uniti.

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Ad essere maggiormente coinvolte appaiono le Chiese ortodosse, che da un lato mostrano i limiti dell’assenza di un indirizzo comune nelle questioni di più stretta attualità e dall’altro le contraddizioni degli storici, e talvolta eccessivi, legami nazionali e nazionalistici. Di isolati casi di contestazioni negazioniste in seno alla Chiesa ortodossa russa, repressi dai vertici del Patriarcato, si è già riferito da queste pagine. Dal canto suo, la Chiesa ortodossa moldava è apparsa in più di un’occasione molto vicina al presidente Igor Dodon e alcuni commentatori hanno evidenziato come le teorie cospirazioniste possano essere un tentativo di distrarre l’opinione pubblica dai gravi problemi che affliggono il Paese, nei prossimi mesi chiamato alle elezioni. Un rapporto con le autorità civili che recentemente, però, è sembrato incrinarsi proprio in tema di lotta al Covid-19, con la Chiesa ortodossa moldava sul piede di guerra contro le misure di contrasto all’epidemia decise dal governo.

Diverso il caso della Chiesa ortodossa greca in Australia, nella quale la discussione si è spostata dal piano socio-sanitario a quello dottrinale. Al centro della discussione il rischio, negato dalle autorità ecclesiastiche, che la Comunione amministrata secondo il rito ortodosso possa costituire un veicolo di trasmissione del virus. Il caso è stato sollevato dopo che alcune chiese ortodosse di Sydney hanno rifiutato di applicare le norme di sicurezza imposte dal governo. Accese polemiche si erano già registrate in marzo, dopo che l’arcivescovo Makarios Griniezakis, primate della Chiesa ortodossa greca in Australia, aveva ufficialmente dichiarato che «nella storia della nostra Chiesa non c’è mai stato alcun caso in cui una malattia infettiva sia stata trasmessa attraverso la Santa Comunione».

Un richiamo all’unità della famiglia umana, anche di fronte alla pandemia di Covid-19 e alle possibilità offerte da un vaccino, giunge invece da papa Francesco. Già nelle prime settimane di pandemia italiana e globale il Pontefice aveva incoraggiato «la collaborazione internazionale che si sta attivando con varie iniziative, per rispondere in modo adeguato ed efficace alla grave crisi che stiamo vivendo».

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Nell’ottica della scoperta di possibili trattamenti, Francesco ha più volte ribadito l’importanza di «mettere insieme le capacità scientifiche, in modo trasparente e disinteressato, per trovare vaccini e trattamenti e garantire l’accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano a ogni persona contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie». Una posizione ripresa anche nel documento della Pontificia Accademia per la Vita L’Humana Communitas nell’era della pandemia: riflessioni inattuali sulla rinascita della vita. «La stessa mancanza di interconnessione si osserva negli sforzi per sviluppare cure e vaccini. L’assenza di coordinamento e cooperazione è ora sempre più riconosciuta come un ostacolo nella lotta contro il Covid-19», si scrive nel documento.

L’impegno, invece, dovrebbe essere sostenuto dalla «consapevolezza che siamo insieme dentro questo disastro e che possiamo superarlo solo mediante sforzi cooperativi». Da questo punto di vista, «la distribuzione di un vaccino, non appena disponibile in futuro, è un caso emblematico. L’unico obiettivo accettabile, coerente con un’equa fornitura del vaccino, è l’accesso a tutti, senza eccezione alcuna».

Anche in questo caso, le proposte avanzate da papa Francesco e dagli organismi della Chiesa cattolica richiamano l’attenzione su spazi nuovi nel dibattito attorno al vaccino, attualmente fermo all’ambito sanitario, politico e finanziario, spazi che nei prossimi mesi assumeranno ancora più rilievo. La Santa Sede potrebbe essere in una posizione ideale per spingere gli Stati a giungere ad un accordo mondiale che garantisca l’accesso di tutti al vaccino anti Covid-19. «Sarebbe triste – ha sottolineato a più riprese papa Francesco – se nel vaccino per il Covid-19 si desse la priorità ai più ricchi. Sarebbe triste se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella Nazione e non fosse universale e per tutti. E che scandalo sarebbe se tutta l’assistenza economica che stiamo osservando – la maggior parte con denaro pubblico – si concentrasse a riscattare industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune o alla cura del creato». Del quale fanno parte anche le erbe.

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