Ricorre oggi la memoria di san Charbel Makhluf, monaco, eremita e taumaturgo libanese. La comunità maronita di Milano lo ha festeggiato ieri, con l’inaugurazione di una nuova statua alla presenza di mons. Hanna Alwan. Con uno sguardo all’anno dedicato dalla Chiesa maronita a testimonianza e martirio.
Ricorre oggi nel calendario romano e in quello ambrosiano la memoria di san Charbel Makhluf, monaco, eremita e taumaturgo maronita, primo santo libanese canonizzato dalla Sede apostolica nei tempi moderni. A Milano la comunità maronita lo ha festeggiato ieri nella chiesa di Santa Maria della Sanità, con l’inaugurazione di una nuova statua alla presenza di mons. Hanna Alwan, vescovo titolare di Sarepta dei Maroniti e vescovo di curia del Patriarcato di Antiochia dei Maroniti, nonché vicario generale di Sua Beatitudine card. Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente. Presenti anche Walid Haidar, console generale del Libano a Milano, e Paulo Cordeiro de Andrade Pinto, console generale del Brasile a Milano, in rappresentanza dei legami di antica data fra il Paese sudamericano e il Libano, rafforzatisi in seguito alle migrazioni.
Per mons. Alwan quello a Milano è un ritorno, dopo aver seguito da vicino per oltre vent’anni, su impulso dello stesso card. Raï, la comunità maronita del capoluogo lombardo, celebrandovi assiduamente il Natale, la Pasqua e la festività di san Marone, pur senza una sede fissa. Non è mancato, a questo proposito, un ringraziamento all’arcivescovo uscente di Milano, il card. Angelo Scola, per aver messo a disposizione della comunità maronita e della devozione a san Charbel la chiesa di Santa Maria della Sanità, dal 2014.
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Grazie alla festa di san Charbel «stiamo insieme vivendo la bellezza della Chiesa universale, Corpo mistico di Cristo», ha sottolineato don Assaad Saad, sacerdote della diocesi maronita di Tripoli, in Libano, attualmente al servizio della comunità maronita di Milano. Monaco ed eremita, ma soprattutto apprezzatissimo taumaturgo, il “Padre Pio” del Libano è da oltre un secolo fra i santi più venerati dai fedeli maroniti. La sua fama è cresciuta sull’onda dei numerosi miracoli attribuitigli dopo la morte, avvenuta la notte di Natale del 1898. Un santità – anzi un «martirio quotidiano», come lo ha definito mons. Alwan – che giunge senza spargimento di sangue, ma dopo una vita interamente dedicata alla contemplazione, alla preghiera, alla lettura dei Vangeli, al lavoro della terra e al digiuno, in un eremitaggio lungo ventitré anni.
Una testimonianza che è anche occasione per riflettere sull’anno in corso, che la Chiesa maronita ha deciso di dedicare alla testimonianza e al martirio, «per ricordare tutti i martiri della nostra Chiesa da quando è stata fondata al tempo di san Marone, nel V secolo dopo Cristo, fino ad oggi», ha precisato mons. Alwan. Testimone (shāhid) e martire (shahīd), che in lingua araba derivano dalla medesima testimonianza (shahādah), «perché il martire con la sua morte testimonia per la propria fede», ha spiegato mons. Alwan. Prendendo spunto dalla parabola della zizzania del Vangelo di ieri (cfr. Mt 13,24-43), mons. Alwan ha sottolineato come sia necessario «saper vivere conservando la propria fede, senza lasciarsi sopraffare dalle difficoltà e dalle tentazioni della zizzania, imitando i santi, che pure sperimentano le tentazioni».
Dopo aver manifestato sin da bambino una particolare venerazione nei confronti della Madre di Dio, tanto da recarsi in solitudine nei boschi a pregare di fronte ad una sua immagine, Charbel, al secolo Youssef Antoun (Giuseppe Antonino), sceglie di dedicarsi interamente a Dio. Allievo di Nimatullah Youssef Kassab Al-Hardini, monaco libanese proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 2004, Charbel studia teologia e filosofia. Dopo sedici anni trascorsi in monastero con i confratelli dell’Ordine Antoniano Maronita (Baladiti), nel 1875 Charbel manifesta però la volontà di ritirarsi in un eremo, sull’esempio di san Marone e dei numerosi altri eremiti e anacoreti della tradizione libanese. Non una Chiesa a sé stante, quella maronita, ma una comunità di cattolici che, nella fedeltà alla Chiesa, nel IV-V secolo si riunisce attorno alla vita di ascesi condotta da san Marone sulle montagne di Libano e Siria.
San Charbel mostra un particolare legame anche con il Concilio Vaticano II. Mentre tutti i vescovi del mondo sono riuniti a Roma e il Concilio volge al termine, infatti, il 5 dicembre 1965, durante le celebrazioni a chiusura del Concilio, Paolo VI proclama Charbel beato. La canonizzazione giunge dodici anni dopo, nel 1977, con lo stesso papa Montini. Un «eremita delle montagne libanesi, […] simbolo di unione fra Oriente e Occidente, […] segno di fraternità ecclesiale fra i cristiani del mondo intero», lo definisce Paolo VI nel 1965. Simbolo di una fede che, con differenti declinazioni, continua ad unire nel sangue i cristiani di tutto il mondo, testimoni ancora oggi di nuove e sempre più subdole forme di persecuzione e di oppressione.
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