Parole pronunciate che vengono eliminate e parole mai dette che si pretende di far dire. Come Francesco anche Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e Pio XI.
Parole pronunciate che vengono eliminate e parole mai dette che si pretende di far dire al Papa. Un nuovo episodio si aggiunge alla serie degli interventi di Francesco “tagliati” di alcuni passaggi nelle trascrizioni ufficiali. Questa volta è accaduto al discorso pronunciato agli studenti e ai docenti del Collegio San Carlo di Milano, ricevuti in udienza pochi giorni fa nel 150° anniversario di fondazione. A finire, per così dire, in soffitta sono stati i riferimenti a persone migranti e mafia nostrana («Non sono delinquenti. Anche noi ne abbiamo tanti, la mafia non l’hanno inventata i nigeriani»), nonché alle gravi responsabilità dell’Occidente nel commercio delle armi («Noi, la ricca Europa, l’America, vende le armi per ammazzare i bambini, per ammazzare la gente, siamo noi a fare le differenze. E questa cosa voi dovete dirla chiaramente, in faccia, senza paura»). Parole forti, che qualcuno ha ritenuto di dover eliminare dalla trascrizione ufficiale del discorso. Ignorando non soltanto la realtà di quanto detto a braccio dal Pontefice, ma anche la rapidità dell’informazione, che aveva già dato diffusione al discorso integrale di Francesco, con tanto di video dell’evento (ad es. qui). Decisamente opache le motivazioni della censura, tenuto conto dei già numerosi riferimenti fatti dal Pontefice in altre occasioni sia al commercio di armi sia in difesa dei migranti.
Eppure, incomprensibilmente, non è la prima volta che accade. Non più tardi di sette mesi fa un episodio simile aveva suscitato perplessità. A sparire dalle trascrizioni ufficiali, allora, era stato il riferimento del Papa alla «psichiatria» nell’indagine di presunte tendenze omosessuali nei bambini, consigliata da Francesco ai genitori. Un’altra epoca, si direbbe (al tempo, ai vertici della Sala Stampa della Santa Sede c’era Greg Burke, oggi Alessandro Gisotti ad interim) ed anche ragioni più scontate a giustificare la censura, nel probabile tentativo di non turbare la suscettibilità gay friendly. La stessa che anche nell’ultima Esortazione apostolica di Francesco, Christus vivit, pretende di trovare un rivolgimento del pensiero cristiano in tema di omosessualità, ma che invece vede ribadita l’unica vera rivoluzione del nostro tempo: l’opposizione al pensiero unico dominante. Con buona pace di chi attendeva un imminente «discorso storico» del Papa in tema di sdoganamento omosessuale, seccamente smentito dalla Sala Stampa vaticana. Parole non dette, che invece si vorrebbero far dire, dal femminismo all’abolizione del celibato del clero.
Che i papi vengano tirati per la mozzetta, si sa, non è una novità. Così come il fatto che qualche frase dei loro discorsi finisca, più o meno maliziosamente, nel cestino. È accaduto più volte a Giovanni Paolo II, e non solo oltrecortina. Durante il primo decennio del suo pontificato, mentre l’Occidente lo riconosceva simbolo della lotta contro il Comunismo, in Oriente Wojtyla passava – silenziato – come reazionario ed anti-progressista. Pena, pochi anni più tardi, subire la medesima sorte al di qua del muro di Berlino. Venuta meno la cortina di ferro, la condanna di Giovanni Paolo II dei mali del sistema capitalista e di un malinteso progresso gli valse per anni pesanti censure, specialmente in Nord America.
Anche Benedetto XVI non ha avuto vita facile. Fra gli episodi più violenti e clamorosi è senza dubbio da annoverare la strumentalizzazione di un passo del discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, presentato da una certa stampa come un “attacco” all’islam. In tempi più recenti, anche nell’inedita veste di pontefice emerito a Benedetto XVI non sono stati risparmiati momenti amari, uno su tutti la grottesca vicenda della lettera “sfuocata” ad arte dalla Segreteria per la comunicazione, retta allora da mons. Dario Edoardo Viganò. Singolare variazione “domestica” in tema di censura, con una manipolazione interna quasi “ufficiale”.
A coltivare pessime abitudini la tecnologia di certo aiuta, ma non tutto è nato nell’era di internet e dei computer. Era il 14 settembre 1936 quando Pio XI riceveva in udienza a Castel Gandolfo un nutrito gruppo di profughi spagnoli. Erano gli anni della guerra civile e papa Ratti rivolgeva a vescovi, sacerdoti e e fedeli un lungo discorso, ricordando l’eroismo dei «martiri» (a soli due mesi dall’inizio della rivoluzione le vittime della persecuzione religiosa erano quasi 3.500 soltanto fra i consacrati) e l’umanità, pur appannata, degli «altri», i repubblicani, «che sono pure e rimangono sempre figli nostri, sebbene nelle cose e nelle persone a noi più care e più sacre, con atti e metodi estremamente odiosi e crudelmente persecutori […] ci hanno trattato non come figli un padre, ma come nemici un nemico particolarmente detestato […]. Non abbiamo mai potuto né possiamo dubitare un istante su quello che ci resta a fare, a noi ed a voi: amarli questi cari figli e fratelli vostri, amarli d’un amore particolare fatto di compassione e di misericordia; amarli e, null’altro potendo fare, pregare per essi». Con il risultato di finire censurato, in Spagna, tanto dai repubblicani quanto dai nazionalisti. Con i primi che ridussero il discorso del Papa ad un generico «appello cristiano a favore della pace» e ne condannarono i riferimenti alla persecuzione anti-cattolica. E i secondi, di contro, sdegnati per le parole di misericordia verso i nemici.
Il più curioso caso di “censura” pontificia spetta, però, al celebre “Discorso della luna” di Giovanni XXIII. Pronunciato l’11 ottobre 1962, la sera dell’apertura del Concilio Vaticano II, è ricordato come uno dei discorsi più importanti ed emozionanti del papato di Roncalli e forse tra i più celebri della storia della Chiesa. Tanto non bastò, però, alla Santa Sede, che nel 2013 sul proprio sito internet lo pubblicò in forma non integrale. Privato, ironia della sorte, proprio dei più suggestivi riferimenti alla luna e alla persona del Papa. A chiarire le cose pensò l’allora direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi. Tutta colpa dei criteri di archiviazione, in passato diversi e meno attenti degli attuali, disse. Nessuna volontà censoria, evidentemente. L’aggiunta dei passi mancanti fu rapida e la polemica pressoché indolore. E oggi, invece? Chi ha paura del Papa?
[PT] “Quem tem medo do Papa?”. Tradução em Português brasileiro de Luisa Rabolini para IHU.
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