Se essere perdonati è un diritto umano, chiedere perdono è un’arte. Come dimostra Benedetto XVI sugli abusi di Monaco. E, a modo loro, Bätzing e Marx.
Sentirsi in colpa e sentirsi colpevoli. Non è un gioco di parole, e neppure la stessa cosa. Soprattutto alla luce della fede. È questo uno degli insegnamenti più grandi che vengono dalla lettera del Papa emerito Benedetto XVI circa il rapporto sugli abusi nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, diffusa nelle scorse ore.
Una confessione
«È necessario segua ora anche una confessione», scrive Benedetto XVI dopo le parole di ringraziamento per le numerose manifestazioni di solidarietà dopo gli attacchi degli scorsi giorni e le accuse di volersi sottrarre a fatti e circostanze. «La confessione della nostra colpa e la richiesta di perdono».
Lasciarsi schiacciare dal susseguirsi dei giorni senza dare un senso alla colpa vorrebbe dire trasformare l’esistenza stessa in un atto d’accusa. «Ogni giorno mi domanda se anche oggi io non debba parlare di grandissima colpa», prosegue Benedetto XVI. «E mi dice in modo consolante che per quanto grande possa essere oggi la mia colpa, il Signore mi perdona, se con sincerità mi lascio scrutare da Lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso».
Cambiamento che sembra richiamare, anzitutto alla memoria di Ratzinger, i numerosi incontri con le vittime di abusi sessuali, in Vaticano e durante i viaggi apostolici. Cambiamento che è anche l’ammissione di alcuni rimpianti circa il passato, mai nascosti. «Ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa – scrive Benedetto XVI – e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade. Come in quegli incontri, ancora una volta posso solo esprimere nei confronti di tutte le vittime di abusi sessuali la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono».
Il perdono
Ma ancora non basta per quanti, irriducibili indagatori della colpa d’altri, lamentano troppa tepidezza. «Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica», prosegue Benedetto XVI. «Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi. Ogni singolo caso di abuso sessuale è terribile e irreparabile. Alle vittime degli abusi sessuali va la mia profonda compassione e mi rammarico per ogni singolo caso».
Tutto da buttare – una Chiesa, una vita – dunque? Tutt’altro. Credente, cristiano – cose nulla affatto scontate anche all’interno della Chiesa – Benedetto XVI è ben consapevole che alle inevitabili colpe che gravano sulla fragilità di ognuno di noi corrisponde benigna la Misericordia. Finitezza che si perde nell’infinito. «Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello», scrive in conclusione alla lettera Benedetto XVI. «In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte».
Sono questi passaggi finali, oltre alla delicatezza spirituale ed umana dell’intera lettera, a farne un insegnamento. Per una Chiesa – e per tante vite – da non gettare alle ortiche, da non ritenere mai sprecate, nonostante alcuni sbagli e gli sbagli di alcuni, fino ai più odiosi. La lettera è già stata definita un testamento spirituale. Un’ultima catechesi di Benedetto XVI, forse. La pagina di un grande uomo, e di Chiesa, certamente.
Scuse chieste e nichilismo
Alcuni passaggi e la conclusione della lettera rendono evidente la differenza di stile tra il perdono chiesto da Benedetto XVI e quello invocato da altre personalità nella Chiesa, soprattutto in Germania. Che alla scrittura hanno contrapposto le parole, al silenzio il clamore dei media, alla riflessione l’accumularsi delle dichiarazioni.
Nelle ultime settimane si è particolarmente distinto a livello mediatico il vescovo di Limburgo e presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing. Le sue ultime scuse? Quelle pretese da Benedetto XVI. Da anni personalità critica nei confronti di Benedetto XVI – e su ben altri temi rispetto agli abusi – è Bätzing ad aver preteso a mezzo stampa le scuse del Pontefice emerito, nelle ore successive alla diffusione del rapporto sugli abusi nella diocesi di Monaco e Frisinga. Il documento, nelle parole di mons. Bätzing, ha reso evidente il «comportamento disastroso» della Chiesa, anche gerarchica, su «fino a un Papa emerito compreso». «A volte mi vergogno anch’io se penso che abbiamo un passato del genere», ha aggiunto Bätzing. E, in sostanza, poco altro.
«Non c’è futuro per la cristianità in questo Paese senza una Chiesa rinnovata», gli ha fatto eco il card. Reinhard Marx, attuale arcivescovo di Monaco e Frisinga ed ex presidente dei vescovi tedeschi, rispetto al cui comportamento non mancano le ombre nel rapporto sugli abusi nella Chiesa. Un’interpretazione – condita di un certo nichilismo – già manifestata nella celebre lettera di dimissioni diffusa lo scorso anno. Per sua stessa ammissione tuttora vittima di un periodo di crisi personale e di fede, che spinge a comprensione e rispetto, secondo Marx per molti la Chiesa sarebbe diventata un «luogo di calamità, non di salvezza, un luogo di paura, non di conforto». Concludendone: «E vedo il disastro».
Discorso egocentrico e demagogia
Nulla di nuovo nella condotta manageriale e degli “-ismi” (sociologismi, psicologismi,…) già evidenziata in questi anni. Pronta anche ad utilizzare, con sapiente tempismo, alcuni argomenti di facile demagogia: su tutti, l’abolizione del celibato dei preti e l’ammissione delle donne al sacerdozio, sui quali, non a caso, Marx è tornato nelle ore della burrasca.
Strategia che, però, non paga più. E, infatti, non sono mancate critiche dall'”ala sinistra” della Chiesa in Germania, per quanto difficilmente acquistino rilevanza internazionale. Ne riassume un interessante campionario il settimanale Der Spiegel. «Nessuno si assume la responsabilità personale. L’arcidiocesi di Monaco-Frisinga sta entrando nella normale modalità di elaborazione e svolgendo gli affari come al solito […], guarnito con la poesia del cammino sinodale», a detta del teologo e canonista Thomas Schüller. Difficile «rispondere davvero a questo discorso egocentrico del cardinale Marx», sostiene l’attivista ed ex candidato tra le file socialiste del SPD, Matthias Katsch. Ancora, quella di Marx è giudicata una reazione «sorprendentemente vaga» dalla presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), la sociologa Irme Stetter-Karp.
Il “fronte riformista” della Chiesa in Germania, insomma, si conferma ben lungi dalla compattezza di cui comunemente si favoleggia. Una situazione in cui le scuse di Benedetto XVI, e di qualunque altro designato capro espiatorio, sono – o dovrebbero essere – l’ultimo dei problemi. E forse, invece, un insegnamento.
Vantaggi e potere
«La cecità più pericolosa dal punto di vista della fede consiste nell’annettersi Dio e nel confondere una visione prettamente umana con la sua visione», scriveva in tempi non sospetti la filosofa e teologa protestante Lytta Basset (Il senso di colpa, Qiqajon, 2007). «Questo è dovuto, da una parte, all’intensità del senso di colpa e al bisogno di giustificazione (potere così minaccioso che se ne attribuisce facilmente l’origine a Dio), e dall’altra, al “vantaggio” principale della colpevolizzazione, che consiste nel ritrovare il potere perduto». Clericalismo. Ma vantaggi e potere sono categorie che non hanno più senso. O, almeno, non per Benedetto XVI.
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