Benedetto XVI, il panzerkardinal che vide la femminilità in ogni uomo. Una lettera dimenticata

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Abitiamo il tempo dell’abuso, che è anche violenta testimonianza di uno sguardo malato verso le donne. Potere, denaro, sesso, misoginia, un clericalismo deviato: sono soltanto alcune delle radici di comportamenti odiosi. Sarebbe facile – e in certa misura consolante – attribuire ogni colpa agli uomini: la verità, però, è che un certo tipo di misoginia appartiene anche all’universo non maschile, anche a quello assuefatto a pensarsi più progressista.


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Difficile trovare conforto in una contrapposizione ideologica. Meglio affidarsi ad una tenerezza rischiarata dalla fede e dalla ragione, mai buonista o prona alle mode del momento. Una delicatezza che mal si concilia con l’oscuro pregiudizio costruito attorno al panzerkardinal Joseph Ratzinger, ma che trova invece un esempio luminoso proprio in uno dei testi meno noti, se non dimenticati, del futuro Benedetto XVI.

Una lettera indirizzata nel 2004 ai vescovi della Chiesa cattolica, nella quale l’allora cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger affronta il delicato tema della collaborazione fra uomo e donna nella Chiesa e nel mondo.

È la donna a dare all’uomo un avvenire

La posta in gioco è grande: da un lato, agli abusi di potere si sarebbe tentati di rispondere «con una strategia di ricerca del potere» che scimmiotti la mascolinità (n. 6); dall’altro, scrive Ratzinger, «si tende a cancellare» ogni differenza fra uomo e donna, sminuendo e banalizzando il sesso a vantaggio del genere. Con le donne tra le prime vittime dell’ideologia gender.

«Soltanto la donna, creata dalla stessa “carne” ed avvolta dallo stesso mistero, dà alla vita dell’uomo un avvenire». Basterebbe questo inciso per calarsi nella dimensione profonda della lettera di Ratzinger: quella di un cristianesimo che è alleato storico eppure incompreso – talvolta anche da se stesso – della femminilità. Secondo questa prospettiva, l’uomo e la donna non sono invitati «solo ad esistere “uno accanto all’altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l’uno per l’altro».

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Antropologia femminile di una comunità

È infatti nel contesto dell’incontro e della comunità, civile ed ecclesiale, che si concretizza l’antropologia proposta nelle Scritture. «Tra i valori fondamentali collegati alla vita concreta della donna, vi è ciò che è stato chiamato la sua “capacità dell’altro”», prosegue Ratzinger nella lettera. «Nonostante il fatto che un certo discorso femminista rivendichi le esigenze “per se stessa”, la donna conserva l’intuizione profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell’altro, alla sua crescita, alla sua protezione» (n. 13).

In virtù dell’attitudine a dare la vita – che però non riduce la donna a strumento della «procreazione biologica» – la donna è in grado «di acquisire molto presto maturità, senso della gravità della vita e delle responsabilità che essa implica. Sviluppa in lei il senso ed il rispetto del concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli individui e della società», scrive ancora il futuro Benedetto XVI. «È essa, infine, che, anche nelle situazioni più disperate, e la storia passata e presente ne è testimone, possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso tenace del futuro e, da ultimo, di ricordare con le lacrime il prezzo di ogni vita umana».

La “femminilità” di ogni uomo

Ciò che più sorprende, in un’epoca di mal proposta compenetrazione dei generi, è che per Ratzinger «ciò che si chiama “femminilità” è più di un semplice attributo del sesso femminile. La parola designa infatti la capacità fondamentalmente umana di vivere per l’altro e grazie all’altro» (n. 14). In questo senso, c’è della femminilità in ogni uomo dotato di una sana apertura al prossimo.

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Luogo privilegiato della vocazione all’altro è la famiglia. «Questo implica prima di tutto che le donne siano presenti attivamente e anche con fermezza nella famiglia, società primordiale e, in un certo senso, “sovrana”, perché è qui, innanzitutto, che si plasma il volto di un popolo» (n. 13). Al tempo stesso, è necessario che le donne abbiano l’opportunità di esprimere la propria vocazione educativa «nel mondo del lavoro e dell’organizzazione sociale e che abbiano accesso a posti di responsabilità che offrano loro la possibilità di ispirare le politiche delle nazioni e di promuovere soluzioni innovative ai problemi economici e sociali».

Essere e agire come donna nella Chiesa

Anche nella Chiesa «il segno della donna è più che mai centrale e fecondo» (n. 15). Le donne svolgono un ruolo di massima importanza nella vita ecclesiale, «contribuendo in modo unico a manifestare il vero volto della Chiesa, sposa di Cristo e madre dei credenti. In questa prospettiva si comprende anche come il fatto che l’ordinazione sacerdotale sia esclusivamente riservata agli uomini non impedisca affatto alle donne di accedere al cuore della vita cristiana» (n. 16).

In ultima analisi, «si deve accogliere la testimonianza resa dalla vita delle donne come rivelazione di valori senza i quali l’umanità si chiuderebbe nell’autosufficienza, nei sogni di potere e nel dramma della violenza» (n. 17). È attualità. Anche per la Chiesa.

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