C’è carità nella verità. Così come nel cordoglio. Lo dimostrano alcuni dei temi ricorrenti del pontificato di Benedetto XVI, tutti da rivedere. Primo appuntamento.
A dieci anni dalla rinuncia e a quasi un ventennio dall’inizio del suo pontificato, stupisce (ma non sorprende) l’affetto che ha accompagnato gli ultimi giorni di vita terrena di Benedetto XVI e il cordoglio dopo la sua morte. Tanto più in un tempo che ha l’abitudine di dimenticare in fretta i propri eroi.
In un Occidente pervaso dal relativismo etico ed intellettuale si tratta di un segnale forte. La fede – la Chiesa – totale e totalizzante proposta da Benedetto XVI, e da lui vissuta in prima persona, non è imitazione di una filantropia agnostica, che vive con imbarazzo, o peggio come un limite, la propria identità. Nel magistero di Benedetto XVI la Chiesa è casa di Dio e degli uomini, vera e credibile alternativa non al mondo, bensì alla mondanità.
«Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità», scrive nel 2009 Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, la carità nella verità. Verità anche nel cordoglio e nella memoria.
Stupisce, in un Pontefice narrato come dei tanti “no”, constatare i molti “sì” di cui ha costellato il proprio pensiero sull’uomo, sulla Chiesa e sul mondo. È piacevole, quindi, ripercorrere in più appuntamenti alcuni dei temi ricorrenti del pontificato di Benedetto XVI, con grande semplicità e senza alcuna pretesa, tanto meno di completezza.
Gesù Cristo: via, verità e vita
«Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede», sottolinea Benedetto XVI nel proprio testamento spirituale. «Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo». Gesù non è un buon uomo trattato ingiustamente, né un filosofo, un economista o un rivoluzionario. Questa considerazione – questa consapevolezza – è da sempre la base e alla base di ogni elaborazione di Joseph Ratzinger.
Una fede centrata sulla figura di Gesù Cristo, cui non è estranea un’affettuosa e familiare devozione mariana. Una fede che coglie nel profondo la natura della Chiesa e ne modella il rapporto con il mondo. «Dire “Io credo in Dio” significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso», spiega Benedetto XVI nell’udienza generale del 23 gennaio 2013, fra le ultime del suo pontificato.
Chiesa, strumento di Cristo
Se Cristo è veramente il Figlio di Dio, la sua Chiesa non può essere ridotta ad un’organizzazione sociale come tante. Fra le sue opere ci sono attività caritative, nulla affatto estranee all’attenzione dello stesso Benedetto XVI, ma ciò che le muove è – o dovrebbe essere – pur sempre l’esempio divino di Cristo. «Il Signore Gesù è la pietra che sostiene il peso del mondo, che mantiene la coesione della Chiesa e che raccoglie in ultima unità tutte le conquiste dell’umanità», spiega Benedetto XVI nel 2010, durante la cerimonia di dedicazione della chiesa della Sagrada Familia e dell’altare, a Barcellona.
In Cristo, prosegue Benedetto XVI, «abbiamo la Parola e la Presenza di Dio, e da lui la Chiesa riceve la propria vita, la propria dottrina e la propria missione. La Chiesa non ha consistenza da sé stessa; è chiamata ad essere segno e strumento di Cristo, in pura docilità alla sua autorità e in totale servizio al suo mandato. L’unico Cristo fonda l’unica Chiesa». Alla sua missione di «mostrare al mondo il volto di Dio», il card. Joseph Ratzinger contribuisce anche con una nuova versione del Catechismo, pubblicata nel 1992, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, dopo sei anni di lavoro di una commissione coordinata dallo stesso Ratzinger.
Tradizione e Vaticano II
Nel pensiero di Benedetto XVI la Tradizione «non è una collezione di cose, di parole, come una scatola di cose morte; la Tradizione è il fiume della vita nuova che viene dalle origini, da Cristo fino a noi, e ci coinvolge nella storia di Dio con l’umanità» (Udienza generale, 3 maggio 2006). Luogo privilegiato di incontro e di scontro fra diverse interpretazioni di ciò che sia Tradizione – o tradizionalismo – è il Concilio Vaticano II.
Anche da questo punto di vista, il pensiero di Benedetto XVI è chiaro: la corretta comprensione del Concilio non sta in un’ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma in quella che Benedetto XVI – nel suo celebre discorso alla Curia romana, il 22 dicembre 2005 – definisce una «ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato».
Quest’ultimo inciso è egualmente importante, perché pone nell’ottica della custodia di un dono, in luogo di quella della proprietà di un oggetto. Una presa di distanze da una dinamica che troppo spesso – e ancora oggi – ha imprigionato la Chiesa: a “sinistra”, la concezione progressista del Vaticano II come rottura col passato e “nuovo inizio”; a “destra”, «una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare». Una dinamica suicida, che «non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media», sottolinea Benedetto XVI. Una narrazione che «fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova». Fraintendimento (o malcelato intento) di alcuni odierni cammini sinodali.
Il valore di ecumenismo e dialogo interreligioso
Il pontificato di Benedetto XVI si è distinto per l’impatto positivo sui rapporti con diverse Chiese cristiane e comunità di fede. Spiccano i legami maturati con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, con le comunità ebraiche e con l’islam, anche in Italia. Di Benedetto XVI il patriarca Bartolomeo, dalle pagine dell’Osservatore Romano, ricorda oggi l’amicizia fraterna ed «intima», fondata sullo «stesso obiettivo di unità e comunione in Gesù Cristo». Il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, ne sottolinea l’interlocuzione «di altissimo livello, fermo nella fede e nelle convinzioni, ma disposto all’ascolto rispettoso». Le principali denominazioni islamiche italiane, Coreis e Ucoii, ne celebrano gli «studi dottrinali come sostegno alla fede» e la capacità «di interpretare il suo ruolo nel migliore dei modi e di sacrificare sé stesso nell’interesse generale della comunità cattolica».
Attestati di stima che sfatano l’opportunità di un dialogo fondato sulla messa all’incanto della propria identità. «Anarchismo morale e intellettuale», lo definisce nel 2005 l’ancóra card. Ratzinger in un’intervista per il quotidiano italiano La Repubblica, che «porta a non accettare più una verità unica». Ma perché il dialogo non si riduca ad un «movimento nel vuoto», il terreno del confronto è spostato dalla religione in sé alla cultura che è frutto della tradizione religiosa. Un «dialogo interculturale che approfondisca le conseguenze culturali delle idee religiose di base». Una cultura di culture, dalle quali troppo spesso si è oggi tentati di sradicare la fede.
Abusi nella Chiesa e clericalismo
Nonostante le accuse sollevate nel 2010 e di nuovo ad inizio 2022, Benedetto XVI è riconosciuto come uno dei maggiori protagonisti della lotta contro gli abusi sessuali, psicologici e di potere all’interno della Chiesa. In questo senso ampio è da intendersi il grido affidato da Ratzinger alla Via Crucis del 2005: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui!». Da cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede prima e da pontefice poi, è a Benedetto XVI che si deve l’avvio di una campagna di “tolleranza zero” contro i fenomeni di pedofilia ed efebofilia nel clero e per punire i colpevoli, compresi i vescovi “omertosi”.
Sempre più ci si misura con l’urgenza di «riparare alle ingiustizie del passato e affrontare le tematiche più ampie legate all’abuso dei minori», come scrive Benedetto XVI in una lettera indirizzata nel 2010 ai cattolici d’Irlanda, Paese tra i più colpiti da questi crimini odiosi. «Una tale consapevolezza, accompagnata da sincero dolore per il danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie, deve condurre ad uno sforzo concertato per assicurare la protezione dei ragazzi nei confronti di crimini simili in futuro».
Nel tentativo di analizzare le radici di comportamenti immorali e criminali, Benedetto XVI rileva «la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo». Una tesi sviluppata nuovamente nel 2019, con riferimento al «collasso spirituale» e al «collasso della teologia morale cattolica» verificatosi in seguito alla rivoluzione del ’68, sostenitrice di una «completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma».
Nondimeno, è necessaria una seria vigilanza contro «ogni tipo di clericalismo, di estraneità al mondo, che va ai più emarginati, ai più poveri, alle persone vicine alla morte e si dà totalmente all’amore per i poveri, per gli emarginati». Ambiti tutt’altro che slegati fra loro, come sottolinea Benedetto XVI nel colloquio con sacerdoti provenienti da tutto il mondo a conclusione dell’Anno sacerdotale, nel giugno 2010. False libertà, chiusura e potere generano mostri.
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Sintesi mirabile. L’ermeneutica del Concilio di Benedetto XVI° è fondata sul principio: “Il Concilio non è rottura, ma rinnovamento nella Tradizione, cioè sull’ “e” e “e”, non sul “ma ” e “ma”.
Grazie Edoardo.