In Germania Benedetto XVI è intellettuale di spessore, innamorato di Cristo, ma irrimediabilmente conservatore. Dalla gestione degli abusi sessuali alla mancata apertura all’ordinazione di uomini sposati e donne, i limiti del pontificato di Ratzinger visti in patria. E in Russia.
«Chi crede non è mai solo». È questa la citazione che da ieri accompagna un’immagine di Benedetto XVI sulla pagina di apertura del sito internet della Conferenza episcopale tedesca. Si tratta di una frase pronunciata da Joseph Ratzinger in occasione della messa di inizio pontificato, il 24 aprile 2005, e soprattutto il motto del suo viaggio apostolico in Baviera, nel settembre 2006.
Bätzing: testimone di fede, oltre le critiche
Il tributo postumo ad un connazionale, verrebbe da dire. Insieme alla possibilità di accendere una candela virtuale su una cartina della Germania, per manifestare la propria vicinanza a Benedetto XVI. Colpisce il necrologio dedicato a Ratzinger, a firma del vescovo di Limburgo e presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing. Umile lavoratore nella vigna del Signore è il titolo della lunga retrospettiva, che ripercorre alcuni caratteri salienti della vita personale ed ecclesiale di Joseph Ratzinger. Benedetto XVI vi è definito di volta in volta un «appassionato studioso e insegnante di teologia», un «pastore convinto e convincente», un «pellegrino», un «filantropo», un «uomo di preghiera».
«Piangiamo la perdita di un grande teologo, un sacerdote e vescovo convincente, un testimone di fede, speranza e amore, una personalità la cui parola ha trovato attenzione in tutto il mondo – anche tra persone di altre religioni e visioni del mondo», scrive mons. Bätzing. Di Benedetto XVI sono ricordati l’instancabile lavoro di conciliazione tra fede e ragione, valori cristiani e legge naturale e civile, l’umiltà, la semplicità, l’appassionato riferimento alla sequela di Cristo.
In effetti, l’intero scritto è percorso da un inedito pacifismo, evidentemente dettato dall’opportunità del momento, che stride con le critiche aspre, ai limiti della violenza, rivolte anche in tempi recenti a Benedetto XVI dalla Chiesa cattolica in Germania, delle quali si sono fatti interpreti privilegiati lo stesso Georg Bätzing e il suo predecessore alla guida dei vescovi tedeschi, il card. Reinhard Marx.
Gli abusi sessuali
I numerosi momenti di contrasto di questi anni sono adombrati soltanto in pochi passaggi. «Per lui non era in primo piano la sua persona, bensì il ministero pastorale, che intendeva interamente come servizio agli altri. Con fermezza e senza esitazione, ha proclamato il Vangelo e la sua comprensione della fede, che si basava sul magistero e sulla tradizione, anche quando ha dovuto fare i conti con la contraddizione, il rifiuto o addirittura l’ostilità. Ha resistito alle critiche, è rimasto aperto al popolo e ha proclamato instancabilmente la parola di Dio», ricorda Bätzing.
«Nell’incomparabile crisi della Chiesa, causata dalla divulgazione di atti di abuso sessuale, papa Benedetto ha esortato a riconoscere la sofferenza delle vittime, a mettere al centro dell’attenzione il loro punto di vista», prosegue il Presidente della Conferenza episcopale tedesca. «Durante gli anni del suo pontificato ha incontrato le vittime di abusi sessuali in molti luoghi, anche qui in Germania. Era profondamente scosso dagli abissi umani e dalle azioni terribili che erano possibili nella Chiesa. Si sforzò con tutte le sue forze di donare guarigione dove erano state inferte ferite così dolorose. Gli incontri con le persone colpite, e le direttive della Chiesa nel suo insieme, mostrano fino a che punto ha posto al di sopra di sé l’ufficio che gli era stato assegnato».
Proprio la questione degli abusi sessuali, negli ultimi anni, ha catalizzato molta della ben più antica opposizione a Benedetto XVI in Germania. Non più tardi di un anno fa, ad inizio 2022, mons. Bätzing e una parte della Conferenza episcopale tedesca pretendevano con forza che il Pontefice emerito si scusasse pubblicamente per la mala gestione – ancora oggi solo presunta – di quattro casi di preti abusatori nella diocesi di Monaco di Baviera, in un periodo in parte coincidente con gli anni dell’episcopato di Ratzinger.
Casi di pedofilia: un pontificato in secondo piano?
Se Bätzing non si spinge oltre, un riferimento alla vicenda è affidato al portale di notizie della Chiesa cattolica in Germania Katholisch.de, ai cui vertici figurano Matthias-Johannes Fischer e il gesuita Hans Langendörfer, fino al 2021 e per 25 anni segretario della Conferenza episcopale tedesca. «Benedetto, che come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede aveva avviato il cambio di paradigma dalla protezione dei colpevoli alla protezione delle vittime, è stato coinvolto nel vortice della crisi degli abusi. Secondo il rapporto di Monaco era sospettato di essere una “figura simbolo della Chiesa delle coperture”», scrive Jan-Heiner Tück, professore di dogmatica e storia dei dogmi all’Università di Vienna, in un lungo ricordo di Benedetto XVI pubblicato il 31 dicembre 2022 dal titolo Dimensione e limite di un pontificato.
«I critici hanno messo in dubbio l’obiettività del rapporto e hanno parlato di uno smantellamento mirato del lavoro di una vita», continua Tück. «Anche la lettera di scuse di Benedetto non ha potuto evitare che i brillanti successi dei primi anni e le conquiste come teologo, vescovo e papa passassero in secondo piano».
Più e prima della pedofilia nel clero: il relativismo
Le accuse di aver insabbiato casi di pedofilia nella propria diocesi mosse a Benedetto XVI hanno da subito il sapore di una resa dei conti in terra tedesca. La sensazione, infatti, è che l’animosità nei confronti di Benedetto XVI che contraddistingue una parte degli esponenti della Chiesa cattolica in Germania venga da più lontano e abbia radici più profonde. «Come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Ratzinger ha il compito di assicurare che la fede sia trasmessa inalterata negli sconvolgimenti sociali della modernità globale», spiega ancora Tück. «Ma vengono respinte anche le proposte di riforma interna della Chiesa, come l’ordinazione delle donne o l’abolizione del celibato obbligatorio. Il conflitto tra i moderni imperativi di uguaglianza e la tradizionale teologia ufficiale cova ancora oggi».
Se, al tempo di Giovanni Paolo II, i teologi «critici di Tubinga non parlano molto bene del “regime di Wojtyla-Ratzinger”» – pontefice il primo, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il secondo – oggi «Benedetto, almeno secondo i suoi critici, ha permesso che continuasse a crescere l'”arretrato di riforme” all’interno della Chiesa. Non ha allentato i requisiti per l’ammissione al sacerdozio. Inoltre, termini audaci come “laicità”, “relativismo” o “edonismo”, che si possono trovare nelle sue analisi dell’epoca, non rendono del tutto giustizia alla complessità dei modi di pensare e di vivere di oggi». Anche per questo, secondo Tück, l’opera di Ratzinger, sempre più apprezzata a livello internazionale, difficilmente potrà trovare accoglienza nella teologia tedesca contemporanea.
Ratzinger, il pastore conservatore
Una previsione che trova indirettamente conferma nel comunicato stampa diffuso dopo la morte di Benedetto XVI dal Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZdK), fra le realtà laiche più coinvolte nel Cammino sinodale tedesco e tra le voci più critiche verso Benedetto XVI (e Francesco). «Il Papa tedesco ha riempito molti di orgoglio, ma soprattutto di speranza. Per alcuni, quella speranza è stata ampiamente soddisfatta. Per altri è rimasto il desiderio insoddisfatto di trovare una risposta alla domanda su come il loro cristianesimo possa affermarsi nel XXI secolo», scrive la presidentessa del ZdK, Irme Stetter-Karp. La medesima delusione che, oggi, contraddistingue molti, non solo in Germania, dopo le irreliastiche speranze di “rivoluzione” riposte in Francesco.
Se da un lato Stetter-Karp ammette che Ratzinger «ha fortemente influenzato il Concilio Vaticano II», dall’altro «al più tardi all’inizio del sinodo di Würzburg (1971, ndr) era chiaro che il teologo conciliare era diventato un critico dei cambiamenti, che diffidava dello spirito della riforma ed era spaventato dall’habitus di molti riformisti. […] Quando divenne papa, nel 2005, aveva già coniato l’espressione “dittatura del relativismo”, che non voleva riconoscere nulla come definitivo».
«Un intellettuale conservatore», definisce Benedetto XVI il teologo tedesco Thomas Söding, dando il titolo all’intero comunicato del ZdK. Una curiosa assonanza con la «difesa dei valori morali tradizionali» rivendicata strumentalmente dal Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill nel messaggio di condoglianze inviato a papa Francesco. Un accostamento che non rallegrerà alcuna delle parti, ma che può spiegare molto sulla coincidente miopia degli opposti.
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.