Nell’imminenza del viaggio apostolico di Francesco in Egitto era presumibile che l’Isis alzasse il tiro contro i cristiani. Nel mirino questa volta il Monastero di Santa Caterina sul Sinai, passato indenne fra secoli di storia, anche islamica. Dove non osarono i conquistatori, osa l’ignoranza.
La cronaca degli avvenimenti, di per sé, è piuttosto scarna: nella notte di ieri un gruppo armato ha aperto il fuoco sul posto di polizia messo a guardia del monastero di Santa Caterina, sulle montagne del Sinai. Un agente è stato ucciso, quattro feriti. Daesh ha in seguito rivendicato l’attacco. Di fatto, però, quello coinvolto è uno dei luoghi simbolo del Cristianesimo in Medio Oriente, mai violato nei lunghi secoli delle complesse vicende che a più riprese hanno insanguinato quei territori.
Quella che è la più piccola diocesi del mondo è allo stesso tempo il più antico monastero cristiano oggi esistente. Le persecuzioni fanno parte della storia del monastero di Santa Caterina fin dalla sua fondazione, quando i primi cristiani giunsero al Sinai per fuggire alle persecuzioni del paganesimo latino. È fra quei monti ricchi di storia e spiritualità – l’Oreb, il roveto ardente, l’oasi di Feiran – che nel III secolo i cristiani trovarono rifugio. Con il tempo ai fedeli si sarebbero aggiunte le strutture per il culto: una cappella al tempo di Elena, madre di Costantino, e il monastero, con l’imperatore Giustiniano.
Con l’espansione armata dell’islam, nei secoli successivi il Cristianesimo divenne minoritario nell’area, ma è proprio fra le mure del monastero di Santa Caterina che nel VII secolo Maometto avrebbe trovato accoglienza e rifugio. La tradizione vuole che in quell’occasione sia stato redatto un documento con il quale Maometto accordava protezione al monastero. Sebbene i monaci ne furono in seguito allontanati, il luogo sopravvisse al Califfato dei Fatimidi e alle influenze maggioritarie dell’islam, agli scontri al tempo delle Crociate e alle campagne di Napoleone Bonaparte, sfuggendo anche alle mire del colonialismo.
La sua posizione al centro della storia ha consentito al Monastero di custodire pressoché intatta la più grande raccolta di icone e manoscritti della Chiesa ortodossa, al mondo seconda soltanto a quella del Vaticano. Di questo patrimonio fanno parte tre fra le icone più note dell’intera Cristianità orientale: la più antica icona raffigurante Cristo Pantocratore (V secolo), nella quale Gesù è raffigurato con la caratteristica diversificazione degli occhi; l’icona di san Pietro (VI secolo): ritratto insieme a Cristo, alla Vergine e ad un giovane, forse san Giovanni, costituisce un interessante soggetto, considerata la piega assunta dai rapporti fra Oriente ed Occidente in seguito al Grande Scisma del 1054; e l’icona della Vergine in trono con Gesù bambino, santi cavalieri e angeli (VI secolo), divenuta anch’essa modello canonico per interi filoni artistici in Oriente così come in Occidente, fino ad influenzare probabilmente anche le Maestà del Duecento italiano. Nulla di tutto questo è ancora andato perduto, ma per quanto ancora di fronte ad un’ignoranza che ha mostrato tutta la propria barbarie a Palmira e ad interessi incrociati che non sembrano in grado di arrestarla?
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