Di genocidio si è tornati a parlare in vista del viaggio apostolico di papa Francesco in Armenia. C’è il genocidio degli armeni, riconosciuto dalla Germania, negato dalla Turchia e che ha provocato le inaudite scuse del vicario del Patriarcato armeno a Istanbul. Ma anche l’eccidio dimenticato di Khojaly, nella guerra fra Armenia e Azerbaigian. Un’insidia che attende il Papa in autunno.
«A me non piace quando si parla di un genocidio di cristiani, per esempio in Medio Oriente: è un riduzionismo». A dirlo papa Francesco, rispondendo ad una domanda in occasione della visita a Villa Nazareth, tre giorni fa. «Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio», ha precisato il Papa. Di genocidi si è comunque ampiamente parlato dall’annuncio della visita di papa Francesco in Armenia e soprattutto dal riconoscimento fornito dal parlamento tedesco al genocidio degli armeni compiuto dagli ottomani nel 1915.
Il Medz Yeghern – il “grande crimine”, in lingua armena – o il sözde Ermeni Soykırımı – il “cosiddetto genocidio armeno”, in lingua e opinione turche – accompagnò in seno alla prima guerra mondiale il tentativo ottomano di creare in Anatolia uno Stato turco etnicamente omogeneo. Dal 1914, anno della proclamazione del jihad da parte del sultano-califfo Maometto V, il risultato fu lo sterminio sistematico di uomini, donne e bambini perpetrato dal governo dei “Giovani Turchi” e la deportazione di oltre un milione e 200mila armeni nelle fatali marce della morte nel deserto siriano, supervisionate dall’alleato tedesco, durante la quali migliaia di persone morirono di fame, malattia e sfinimento. L’eccidio, accompagnato da stupri e altri abusi sessuali, venne condotto senza distinzioni di età e sesso. Il numero totale delle vittime è stimato fra il milione e il milione e mezzo. Negli stessi anni assiri, greci e altre minoranze etniche e religiose vennero egualmente colpite dal governo turco.
Una «grande tribolazione», tanto terribile quanto difficile da riconoscere a livello internazionale, che ha ottenuto vasta eco dall’aprile scorso, amplificata dal voto quasi unanime del parlamento tedesco di una risoluzione che riconosce al “grande crimine” i caratteri di genocidio. Immediate le proteste della Turchia, da sempre contraria al riconoscimento del genocidio come tale. Una reazione che ha spinto il vicario del Patriarcato armeno di Costantinopoli, l’arcivescovo Aram Atesyan, a scusarsi per la presa di posizione del parlamento tedesco. Una lettera grottesca che ha diviso la comunità armena, nella quale il Vicario esprime al presidente turco Erdogan il «rammarico suo e degli armeni» per il tentativo tedesco di strumentalizzare le tragedie del popolo armeno per interessi di «politica internazionale».
Papa Francesco visiterà il complesso del Memoriale del genocidio armeno a Dzidzernagapert (il “Forte delle rondini”) a Yerevan il prossimo 25 giugno alle 6.30 ora italiana, accompagnato dal presidente della repubblica armeno, Serzh Sargsyan, e dal catholicos armeno-apostolico Karekin II, lo stesso che nel 2001 accolse in Armenia Giovanni Paolo II. Allora il Santo Padre, pregando per le vittime del genocidio, ricordò la supplica di Benedetto XV, che nel 1915 si pronunciò in difesa «del popolo armeno gravemente afflitto, condotto alla soglia dell’annientamento». Nella stessa occasione venne siglata da Giovanni Paolo II e da Karekin II una dichiarazione comune nella quale «lo sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni» venne definito come «il primo genocidio del XX secolo». Purtroppo non l’ultimo.
L’intera area dell’Asia Minore e del Caucaso, terra ricca di storia e di etnie, le cui popolazioni non sempre seppero trovare l’equilibro della convivenza e la virtù dell’incontro, è stata a più riprese teatro di stermini su base etnica e religiosa. In queste terre, come nel Medio e Vicino Oriente a maggioranza islamica, le comunità cattoliche non hanno un grande rilievo quantitativo, ma svolgono un ruolo insostituibile nel ridimensionamento dei possibili conflitti.
Dopo la visita in Armenia dei prossimi giorni, il Papa si recherà a settembre in Georgia e Azerbaigian. Proprio qui, nella cittadina di Khojali, oggi denominata Ivanyan, il 25 febbraio del 1992, durante la guerra del Nagorno-Karabakh fra Armenia a Azerbaigian, forze armate armene e russe massacrarono parte della popolazione civile della cittadina, importante snodo strategico nel conflitto bellico. Mentre le tensioni fra Armenia e Azerbaigian sono ancora vive, da tempo il governo azero chiede alla comunità internazionale il riconoscimento dello status di genocidio per quelle violenze – ritenute dalle autorità armene un’operazione militare – perpetrate in occasione del quarto anniversario del pogrom azero di Sumgait ai danni degli armeni del 27 febbraio 1988. È difficile immaginare che dopo il clamore internazionale suscitato dal riconoscimento del genocidio armeno, i fatti di Khojali non riemergeranno con forza proprio in vista del viaggio apostolico del Papa in Azerbaigian.
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.
Il Sismografo
Papa Francesco dovrebbe anche visitare Jasenovac in Croazia dove i fascisti ustascia cattolici coadiuvati da frati francescani militarizzati – compresi quelli che si sono inventati Medijugorie dopo il conflitto mondiale – hanno massacrato dal 1941 al 1945 almeno un milione di persone; serbi ortodossi la maggior parte, ebrei, zingari. Una vera pulizia etnico-religiosa. Tutto a causa della conversione forzata voluta da Pio XII e messa in atto dall’arcivescovo di Zagabria Alojzije Viktor Stepinac (1898 – 1960) santo e Ante Pavelic, Poglavnik (duce) degli ustascia.
Comunque la si consideri, è una vicenda complessa e dolorosa.
Il card. Alojzije Stepinac da un lato è accusato di collusione con il regime ustascia di Ante Pavelić – che citavi – dall’altro è considerato un martire del regime comunista jugoslavo. Beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998, per il processo di canonizzazione di Stepinac – per il quale si parla anche di un presunto miracolo (“presunto”, perché ancora non formalmente riconosciuto come tale) – la Chiesa cattolica ha formato una apposita Commissione d’indagine mista cattolico-ortodossa che dovrebbe studiare le questioni storiche. Un lavoro non facile.
È comunque importante notare che il francescano Miroslav Filipović Majstorović, per quattro mesi direttore del campo di sterminio di Jasenovac che citi, al tempo dei tragici fatti era già stato sospeso a divinis ed estromesso dall’Ordine francescano.
Infine, non è da dimenticare l’opera di salvataggio portata avanti da numerosi membri della Chiesa cattolica in Croazia nei confronti degli ebrei, non ultimo anche dallo stesso card. Stepinac. A riconoscerlo anche il rabbino capo di Zagabria, Miroslav Shalom Freiberger, che in una lettera del 4 agosto 1942 ringraziava Pio XII, il vescovo Stepinac e altri esponenti della Chiesa in Croazia per la loro opera. L’annosa questione delle responsabilità di Pio XII per gli orrori della Seconda guerra mondiale è stata ampiamente affrontata e ormai superata, con piena riabilitazione storica del Pontefice.