Una chiesa semplice nella sua modernità. Una porta di bronzo, sormontata dal motto “Accanto alla vita. Sempre”, si apre nella facciata semicircolare scandita dalle colonne del portico. Il modello è il piccolo altare da campo di don Gnocchi, conservato nell’adiacente museo insieme agli scarponi di quello che fu il cappellano militare più amato dagli alpini. L’evento è straordinario, il primo della storia in questo santuario, ma la folla è quella di sempre: è il popolo della “baracca” – come don Gnocchi definiva l’opera che oggi porta il suo nome – fatto di alpini, malati, anziani e tante famiglie.
La posa della prima pietra della chiesa risale al 2 marzo 2009, alla presenza dell’allora arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, poche settimane dopo l’annuncio della beatificazione di don Carlo Gnocchi. Voluto e costruito dalla Fondazione Don Gnocchi, il santuario, che sorge a lato dell’originale edificio che ospitava la Federazione Pro Infanzia Mutilata, è stato terminato nel 2010 e consacrato e dedicato a don Gnocchi dallo stesso card. Tettamanzi nel primo anniversario della beatificazione di don Carlo, il 24 ottobre 2010. Da allora sono stati migliaia i fedeli che si sono recati in visita all’urna del beato, posta sotto l’altare. Fra di essi gli immancabili alpini, devoti al loro cappellano, e quanti frequentano i reparti ambulatoriali e di ricovero dell’IRCCS “Santa Maria Nascente”.
Una scelta meditata, quella di individuare una Porta Santa – fra le prime ad essere aperte questa mattina nella Diocesi ambrosiana – proprio al santuario dedicato al beato dei “mutilatini”, situato nel complesso del Centro IRCCS “Santa Maria Nascente” della Fondazione Don Gnocchi, a Milano, in zona San Siro, struttura di spicco nel settore riabilitativo, socio-assistenziale e socio-educativo. Eppure una scelta quasi obbligata, per un luogo di sofferenza e cura, che testimonia la misericordia verso i più piccoli. Dove anzi «la misericordia si è fatta stile, regola», come ha ricordato nell’omelia mons. Carlo Faccendini, vicario episcopale di Milano, che ha presieduto la cerimonia di apertura della Porta Santa.
Aprire una Porta che significa soprattutto «aprire il cuore a Cristo», come ha sottolineato don Maurizio Rivolta, rettore del santuario, parlando ai malati e ai loro familiari radunati nella cappella del museo dedicato a don Gnocchi, prima della breve processione che ha preceduto l’apertura della Porta Santa, poco dopo le 10. In testa i malati, i favoriti del beato don Carlo, i primi a «sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza» (Bolla Misericordiae vultus, 3).
Una speranza che non venne meno neppure con l’esperienza terribile della seconda guerra mondiale. È in «quei giorni fatali» che don Carlo, raffinato educatore, poté dire di «aver visto finalmente l’uomo. L’uomo nudo; completamente spogliato, per la violenza degli eventi troppo più grandi di lui, da ogni ritegno e convenzione, in totale balia degli istinti più elementari emersi dalle profondità dell’essere» (Cristo con gli Alpini, 1943). Eppure è proprio in quel conflitto disumano che don Gnocchi, cappellano militare degli Alpini, potrà affermare: «Ho veduto il Cristo! […] sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore, nel gregge cupo e macilento dei prigionieri di guerra, dallo sguardo vuoto e fuggitivo come di belve in cattura, sul volto sacro dei miei morti e dei miei feriti».
È da questo incontro che si fece strada in don Gnocchi il desiderio che sarebbe divenuto per lui missione di vita: potersi «dedicare per sempre ad un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare […] servire per tutta la vita i suoi poveri. Ecco la mia “carriera”» (Lettera al cugino Mario Biassoni, 1942). Un progetto che è obbedienza a Dio e patto con gli uomini, «un superiore ed obbligante vincolo contratto con quelli che hanno fatto la guerra e ne portano duramente le conseguenze» (Lettera al cardinale Schuster, 1946).
Numerosi durante l’omelia di mons. Faccendini, i riferimenti alla misericordia. A quella del figlio prodigo che «stupito, così dice il Vangelo», si lascia sorprendere dall’amore del padre che ne attende il ritorno, come il Padre, che «è sempre il primo a cercarci». Obiettivo di questo Giubileo è allora «far crescere Cristo nel nostro cuore», ha sottolineato mons. Faccendini, prendendo spunto dal Vangelo odierno. Preghiera, riconciliazione e opere di carità, «anche una sola», verso la quale concentrare l’impegno per quest’anno giubilare. È in esse che la misericordia diviene azione. Come la misericordia del Samaritano, che si fa soccorso e aiuto pratico. Impossibile non vedere in lui il beato don Carlo Gnocchi. «Dio è tutto qui – scriveva dal fronte al cugino Mario – nel fare del bene a quelli che soffrono ed hanno bisogno di un aiuto materiale o morale. Il Cristianesimo, e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente non comanda altro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé».
Nell’immagine: La Porta Santa del santuario dedicato al beato don Carlo Gnocchi, poco dopo l’apertura.
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Il Sismografo