Anche nelle migrazioni l’essenziale è invisibile agli occhi

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«È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». Uno dei passi più celebri di Antoine de Saint-Exupéry, collocato dall’autore nell’appassionato dialogo che accompagna l’addio della volpe al Piccolo Principe, contiene anche una delle verità più care al Cristianesimo: non potrebbe essere altrimenti se si considera che Cristo stesso, l’Essenziale sopra ogni cosa, «è immagine del Dio invisibile» (Col 1,15).

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Come se vedessero l'invisibile Invisibile è il mistero di Dio, ma anche taluni dei mali più insidiosi che affliggono le nostre società. Quello presente «nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato» (Evangelii gaudium, n. 204), che alcuni auspicano possano regolare l’economia e i cui tragici “effetti collaterali” sono invece sotto gli occhi di tutti. Così come le nuove forme di «tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole» (Ivi, n. 56), fino ad insinuarsi nei più intimi rapporti familiari, tanto che «mio marito non mi guarda, sembra che per lui io sia invisibile» (Amoris laetitia, n. 128), e nelle relazioni sociali sulle quali si reggono le nostre città, oggi sempre più spesso segnate da «zone meno visibili, dove vivono gli scartati della società» (Laudato si’, n. 45).

Invisibile è anche il mondo delle migrazioni. Invisibile, eppure del quale sono pieni i notiziari televisivi, i giornali, la politica e le discussioni di ogni giorno. Una contraddizione? No, piuttosto la conseguenza di una “invisibilità” che in riferimento ai migranti è divenuta sovraesposizione. Con un risultato che, in fondo, è il medesimo: tutto, come in una fotografia sovraesposta, tende a sfumare e i colori a mescolarsi in un bianco accecante e indistinto.

Invisibile più delle migrazioni è, infatti, la sorte dei migranti. Invisibile ai nostri interessi, ai nostri progetti per il futuro, al nostro vivere quotidiano che non pensiamo e non vogliamo venga scosso nei privilegi – in molti casi piccoli, va detto – che ci siamo ritagliati, talvolta non senza impegno. Finendo con l’avere i migranti nel cuore delle nostre città, ma ai margini delle nostre vite, rinchiusi in «nuovi settori umani, in territori culturali, in città invisibili» (Evangelii gaudium, n. 74), dove non mancano «pratiche di segregazione e di violenza» (Ibidem) e dove abitano «moltissimi i “non cittadini”, i “cittadini a metà” o gli “avanzi urbani”» (Ibidem). Particolarmente grave è l’invisibilità sperimentata dai più piccoli fra i migranti, soprattutto se per diversi motivi sono privati dei genitori. Sono loro, i cosiddetti “minori stranieri non accompagnati”, a costituire «il gruppo più vulnerabile perché, mentre si affacciano alla vita, sono invisibili e senza voce: la precarietà li priva di documenti, nascondendoli agli occhi del mondo; l’assenza di adulti che li accompagnano impedisce che la loro voce si alzi e si faccia sentire. In tal modo, i minori migranti finiscono facilmente nei livelli più bassi del degrado umano, dove illegalità e violenza bruciano in una fiammata il futuro di troppi innocenti, mentre la rete dell’abuso dei minori è dura da spezzare» (Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2017 “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”, 8 settembre 2016).

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Invisibili, e tuttavia presenti, sono però le tracce di speranza e di bellezza disseminate in contesti dove spesso ciò che è più eclatante ferisce lo sguardo. Sguardo che, invece, dovrebbe spingersi oltre l’apparenza, per contemplare l’essenza di ogni persona. Di quest’ultima non ci parlano i documenti o la loro assenza: ce la raccontano la sua storia, la sua vita, la sua stessa umanità che, forse inaspettatamente giunta di fronte a noi, ci interroga. «Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata» (Evangelii gaudium, n. 279). Creature di uno stesso Creatore, e ancora di più figli di uno stesso Padre, «siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale» (Laudato si’, n. 89). Anche il complesso universo di mondi che è la mobilità umana, troppo spesso ritenuto quasi a sé stante, eppure a noi vicinissimo, «reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l’Invisibile» (Evangelii nuntiandi, n. 76). Può forse stupire.

Invisibile, infatti, è il bisogno di Dio che contraddistingue anche e soprattutto i migranti. Distratti da una retorica che non sembra conoscere riposo, ignoriamo non soltanto i numeri – che ci dicono che i migranti sono sempre più spesso cristiani – ma anche la Bibbia che molti di loro stringono a sé, fedele compagna prima, durante e dopo il viaggio. Un pregiudizio duro a superarsi ci porta a credere che i migranti siano privi di aspirazioni che vadano al di là di quelle materiali. Bisognosi – tutti e indistintamente – di cibo, alloggio, lavoro e cure sanitarie, dimenticandone le necessità, ma anche le ricchezze, delle quali sono portatori sul piano umano e pastorale. In questo senso, è sempre più sentita l’esigenza del passaggio da uno sguardo di emergenza ad uno sguardo di attiva ricerca delle ricchezze nascoste – tali perché ancora inesplorate – nella pluralità di etnie e di culture che oggi caratterizza l’Italia.

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Invisibile, d’altra parte, è il “segno dei tempi” rappresentato dalle migrazioni. Invisibile al pari del tempo, che al contrario ben si mostrerebbe nella lungimiranza di saper sfruttare un tempo propizio, un kairos, invece di arrovellarci sul sistema più efficace, e spesso più disumano, per evitare un cambiamento che la realtà ci dice essere già avvenuto. «No, la cecità non è un problema», ha scritto Patrizio Barbaro in memoria di Pier Paolo Pasolini e in riferimento ad altri contesti. «Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esiste. Ma sul deserto delle nostre strade, lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio».

Invisibile, al pari della bellezza, è l’amore, eppure tangibile e capace di permeare l’invisibile. «L’amore possiede un’intuizione che gli permette di ascoltare senza suoni e di vedere nell’invisibile» (Amoris laetitia, n. 255). Anche all’accoglienza – ma sarebbe ormai il caso di andare oltre, fino ad instaurare autentici rapporti di interazione e di valorizzazione – è possibile applicare le parole riservate da Francesco all’impegno verso il Creato. «Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente. Inoltre, l’esercizio di questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questo mondo» (Laudato si’, n. 212).

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Auguriamoci che anche rispetto alle migrazioni possa accadere quanto in maniera così evocativa è detto nel libro di Giobbe: «All’improvviso la luce diventa invisibile, oscurata dalle nubi: poi soffia il vento e le spazza via» (Gb 37,21).

[Tratto da: Simone M. Varisco, “Anche nelle migrazioni l’essenziale è invisibile agli occhi”, in «Come se vedessero l’invisibile. Sussidio per l’animazione pastorale. 56a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni», a cura dell’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni – CEI, aprile 2018]

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2 commenti su “Anche nelle migrazioni l’essenziale è invisibile agli occhi”

  1. Che profondità di parole! Complimenti, Simone. Già il titolo è giornalisticamente azzeccato, perché incuriosisce e porta al desiderio di leggere il testo. Considerazioni che si appoggiano a a citazioni prese da documenti del Magistero. Ineccepibile. Purtroppo, la propaganda anti-immigrazioni vede solo un progetto di islamizzazione dell’Europa da parte di poveri naufraghi che nemmanco sono mussulmani, immigrazione che sarebbe pilotata da alcuni partiti italiani e voluta dal Papa, d’accordo con Soros, per il fatto che questo personaggio finanzia le ONG.

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