Amatrice. Il coraggio di non mollare scritto nei suoi santi

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Mentre da sotto le macerie di una vita ancora si estraggono esistenze risparmiate e spezzate, fra il sangue e la paura Amatrice trova il coraggio e la solidarietà. Colpita, ma non distrutta. Non scomparsa. Un destino scritto nei suoi santi.

Ci sono città il cui destino sembra scritto nella loro storia. Amatrice, che era e continuerà ad essere fra i borghi più belli d’Italia e del mondo, è oggi fra le località più colpite dal tragico terremoto che questa notte ha scosso il centro della Penisola. Isolata, colpita nei suoi abitanti e nei suoi edifici, la cittadina del reatino non è distrutta, non è scomparsa. Lo dice la sua storia. Una storia che per Amatrice passa anche attraverso la devozione popolare.

Come quella alla Madonna di Filetta, compatrona di Amatrice. Di questo santuario si racconta una storia che dice molto del carattere degli amatriciani. Si narra infatti che nella seconda metà del ‘400 una pastorella di nome Chiara Valente, che viveva con la famiglia nella frazione di Filetta, avesse trovato riparo da un temporale sotto ad una quercia. Proprio lì la giovane trovò un cammeo di fattura romana, raffigurante il volto di una donna. La ragazza raccolse il monile e, giunta a casa, lo mise in una credenza. Il giorno successivo l’abitazione dei Valente fu rischiarata da una grande luce. Cercatane non senza timore la fonte, il bagliore si scoprì provenire dall’effige. Credendolo animato da forze maligne, il cammeo venne portato nella vicina Amatrice perché venisse distrutto, ma né il fuoco di una fornace, né i colpi dei fabbri riuscirono a scalfirlo. Da quel giorno nella donna del cammeo che non volle essere distrutta fu riconosciuta la Vergine Maria e nel luogo del ritrovamento dell’effige venne eretto un santuario. Da allora ogni anno una processione celebra la Patrona del paese, coraggiosa e indistruttibile come Amatrice stessa.

Tanti i terremoti che hanno colpito Amatrice – da quello del 7 ottobre 1639, a quelli del 1646 e del 1703, in concomitanza con il grande terremoto dell’Aquila – e tanti i motivi, fra guerre e alluvioni, per abbandonare questo spicchio di Lazio, splendido e difficile. Facile sarebbe stato seguire l’ispirazione dell’altro santo venerato in città, Martino di Tours, patrono certo di cavalieri e albergatori, ma anche santo per eccellenza di quanti si trasferiscono, di sinistrati e di forestieri. Eppure gli abitanti di Amatrice non se ne vanno, preferendo guardare alla carità e al coraggio di quel santo cavaliere. Qualità che gli amatriciani stanno dimostrando ancora una volta in queste ore. Una città «degna in vero di pianti e di lacrime», scriveva nella sua «Relatione del terribile e spauentoso terremoto» del 1639 il cronachista Carlo Tiberij. Ferita, ma non distrutta. Non scomparsa.

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