L’alleanza scandinava e la Germania all’angolo. Dalla difesa aerea al vescovo Bode

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Cresce la pressione sulla realpolitik della Germania: dalla sfida militare con la Russia al crescente isolamento del Cammino sinodale tedesco. Che trova una sponda in Belgio e Lussemburgo, ma precipita in terra scandinava.


Esiste in Veneto la storia del Sior Intento, una filastrocca senza fine che, ad una lettura moderna, sembra voler giocare sull’inavverarsi delle pie intenzioni. Eppure ce ne sono alcune in grado di cambiare gli scenari mondiali.

Difesa aerea scandinava

Ne è un esempio la Dichiarazione di intenti (Jdi) sottoscritta dai comandanti delle forze aeree di Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca con il fine di creare una difesa aerea nordica congiunta a fronte della crescente contrapposizione militare con la Russia. Una “mini Nato”, in cantiere almeno dagli anni ’90, che rappresenterebbe ora un ulteriore passo verso l’ingresso di Finlandia e Svezia nel Patto Atlantico.

Innegabile il peso della Germania in una simile alleanza, tanto per ragioni geografiche quanto storiche e di stretta attualità geopolitica. In questo senso, che la Dichiarazione di intenti sia stata siglata a Ramstein, base nella Renania-Palatinato ad uso dell’aeronautica statunitense, è la ridondante conferma di un dato di fatto: che se alla cloche ci sono ancora gli Stati Uniti (e il Regno Unito), il delicato processo di ripensamento della pozione militare di Berlino nel contesto internazionale, incalzato dalla guerra in Ucraina, guarda verso il Nord e ad una partnership strategica con i vicini settentrionali. Una pressione considerevole per la realpolitik tedesca.

Pastorale “aerea” scandinava

Per una curiosa coincidenza di tempi, nei medesimi giorni un altro tipo di velivolo, pacificamente attrezzato al confronto, ha trasvolato il 54° parallelo nord. Origine, i medesimi Paesi – Norvegia, Danimarca, Svezia e Finlandia – con l’aggiunta dell’Islanda, riuniti nella Conferenza episcopale della Scandinavia. Paesi in cui il cattolicesimo è minoranza (dal 5% della popolazione svedese allo 0,2% di quella finlandese) e dove la Chiesa è militante, e per giunta in crescita.

Al centro, la Lettera pastorale sulla sessualità umana (qui il breve testo integrale, di grande interesse), in cui si precisa la posizione della Chiesa cattolica rispetto al «movimento allo stesso tempo politico e culturale» che si riconosce nel simbolo dell’arcobaleno e nella «ipotesi ardita» sul gender proposta da una parte del variegato universo lgbt+.

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«La Chiesa condanna ogni ingiusta discriminazione, qualunque sia, anche quella che si fonda sul genere o sull’orientamento sessuale», scrivono i vescovi scandinavi nella Lettera. «Dissentiamo […], tuttavia, quando il movimento propone una visione della natura umana che astrae dall’integrità incarnata della persona, come se il sesso fosse qualcosa di accidentale. E ci opponiamo quando tale visione viene imposta ai bambini».

Nel confronto con correnti ecclesiali nelle quali sul Vangelo sembrano prevalere gli “ismi” (sociologismi, ideologismi, efficientismi, pubblicitarismi), i vescovi scandinavi ricordano che «la nostra missione e il nostro compito di vescovi è indicare il cammino pacificante e vivificante dei comandamenti di Cristo, stretto all’inizio, ma che si dilata man mano che avanziamo. Mancheremmo nei vostri confronti se offrissimo di meno. Non siamo stati ordinati per predicare nostre piccole nozioni».

Per motivi diversi, anche su questo fronte Stati Uniti e Germania giocano un ruolo fondamentale. Con i primi sostanzialmente allineati alle posizioni della “alleanza nordica” (e della Chiesa universale) e la seconda in evidente contrasto.

La sponda statunitense

«Ciò che vale per il creato nel suo insieme vale per la natura umana in particolare: c’è un ordine nella natura umana che siamo chiamati a rispettare», scrive il Comitato episcopale Usa sulla dottrina in una recente Nota dottrinale in tema di manipolazione del corpo umano.

«Per trovare compimento come persone umane, per trovare la vera felicità, dobbiamo rispettare quell’ordine. Non abbiamo creato la natura umana; è un dono di un amorevole Creatore. Né “possediamo” la nostra natura umana, come se fosse qualcosa di cui siamo liberi di servirci in qualsiasi modo ci piaccia».

Le dimissioni di Franz-Josef Bode

Arroccata su posizioni ben diverse è – almeno nei suoi vertici e a livello mediatico – la Conferenza episcopale tedesca. Impallinata, però, dalla contraerea dello scandalo abusi. La bomba era esplosa a Monaco di Baviera nel giugno di due anni fa, ma l’eco si è risentito in questi giorni a Osnabrück.

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«Con effetto da oggi [25 marzo] papa Francesco ha accolto la mia richiesta di poter rinunciare al mio incarico di vescovo di Osnabrück. La decisione di dimettermi è già maturata in me negli ultimi mesi. Diversi motivi mi hanno spinto a farlo», scrive il Dr. (sic!) Franz-Josef Bode nella Dichiarazione pubblicata sul sito della diocesi di Osnabrück.

Dall’ostracismo di Roma allo scandalo abusi in diocesi

Vescovo cacciato perché benedice coppie gay e apre al matrimonio per i preti, titolano alcuni giornali, riconducendo le dimissioni di Franz-Josef Bode, con tre anni di anticipo sul limite di età di 75 anni, ai contrasti con la Santa Sede. Da ultimo, emersi con evidenza nelle reprimende giunte dalla Congregazione per l’educazione cattolica e dal Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

Nello spazio di poche ore, però, la narrazione cambia, allineandosi a quella della stampa tedesca nel dare peso alle motivazioni ufficiali fornite dallo stesso Bode per le proprie dimissioni: «Ho avuto responsabilità in una Chiesa che non portava solo benedizioni, ma si procurava anche colpe. Soprattutto quando si tratta di casi di violenza sessuale da parte di consacrati, per molto tempo io stesso ho pensato più agli autori e all’istituzione che non ai soggetti colpiti. Ho giudicato male i casi, spesso ho agito con esitazione e preso alcune decisioni sbagliate, e non sono stato all’altezza delle mie responsabilità di vescovo su questi punti», ammette Franz-Josef Bode nella Dichiarazione.

Stando allo studio MHG del 2018 sui casi di abuso sessuale da parte di presbiteri, diaconi e religiosi in Germania, nella diocesi di Osnabrück dal 1946 al 2015 si conterebbero 35 membri del clero accusati e 68 vittime. Dopo la pubblicazione dello studio le denunce si sono però moltiplicate, e all’inizio del 2020 il numero degli accusati era salito a 45 e quello delle vittime a 116. Al momento dello studio, la diocesi di Osnabrück aveva già versato 81 mila euro in risarcimenti.

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Più di recente un nuovo studio, diocesano, è stato commissionato all’Università di Osnabrück. I risultati parziali, pubblicati nel settembre 2022, registrano i casi di 15 presbiteri e un diacono abusatori e il venir meno ai propri doveri da parte dei vertici della diocesi. Franz-Josef Bode ha guidato la diocesi di Osnabrück per quasi 28 anni, dal settembre 1995 al marzo di quest’anno.

Il precedente Reinhard Marx

Sebbene allora si lasciasse intendere anche una personale crisi di fede, nelle parole di Bode riecheggiano le dimissioni (respinte, in quel caso) del card. Reinhard Marx, nel giugno 2021. «Ho sottovalutato la portata dell’irritazione, soprattutto tra il personale della diocesi», scrive oggi Bode. «Gli eventi, le polemiche e le discussioni delle ultime settimane hanno avuto un ruolo del tutto secondario [nella scelta di dimettersi]», assicurava dal canto suo nel 2021 il card. Marx, nondimeno incalzato dallo scandalo. Di «carenze sistemiche» parla Bode, delle ben note «cause sistemiche e rischi strutturali» aveva detto Marx. Ad un eccesso di salvaguardia della «istituzione» – la Chiesa – fa riferimento l’ex vescovo di Osnabrück, a «responsabilità istituzionali» guardava quello di Monaco e Frisinga.

Entrambi, infine, individuano nel controverso Cammino sinodale tedesco una «ricerca di risposte ai problemi sistemici della nostra Chiesa che possono incoraggiare gli abusi», come scrive Bode. Che fa eco all’appello che fu di Marx: «Mi sono impegnato nel progetto del cammino sinodale, che riprende e approfondisce teologicamente anche i punti evidenziati dallo studio MHG. Questo percorso deve continuare!».

Due anni fa, sollecitato dalla stampa, il card. Marx ancora si interrogava «se, alla luce della presentazione dello studio [MHG sugli abusi], qualche vescovo si fosse assunto la responsabilità e avesse annunciato le proprie dimissioni. A questa domanda ho risposto con un “no”». Ma ormai la no-fly zone è venuta meno.

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