La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo ambrosiano dell’Epifania 2020

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Lunedì 6 gennaio 2020. Epifania del Signore, Anno A. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.

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In quel tempo. Nato il Signore Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese (Mt 2, 1-12)

«Un giorno, all’ora del tè, stava leggendo Henry James quando sbottò: “E muoviti!”. La cameriera, che stava portando via il carrello del tè, disse: “Chiedo scusa, Maestà”, e nel giro di due secondi era già schizzata fuori dalla stanza. “Ma no, non tu, Alice” le gridò dietro la regina, addirittura rincorrendola sulla porta. “Non tu!”. Una volta Sua Maestà non si sarebbe preoccupata di quello che pensava la cameriera, o di aver ferito i suoi sentimenti; adesso però le dispiaceva, e tornando a sedersi si chiese come mai. Al momento non la sfiorò l’idea che quello slancio potesse avere un nesso con i libri e perfino con quell’irritantissimo Henry James. A tempo debito però se ne accorse, e in uno dei suoi appunti successivi scrisse: “È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano. Non sono convinta che si tratti di un cambiamento auspicabile”» (A. Bennett, La sovrana lettrice)

Il re di Israele, dice la Torà, deve conoscere bene il Libro della Legge e farlo conoscere al suo popolo. Il compito del sovrano è di nutrire i suoi della Parola di vita. Erode è impegnato invece a spegnere la profezia, a calpestarla nella polvere. Michea aveva annunciato il sorgere di un capo, il pastore del mio popolo, Israele. E re Erode fa di tutto perché essa non risuoni sotto il cielo. Sarebbe la fine del suo potere usurpatore.

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Accade spesso nella storia: un regime brutale e totalitario dichiara guerra alla lettura, anche quando si tratta delle Scritture. Il totalitarismo ha sempre paura dei libri, perché – scrive Alan Bennett in un altro passaggio del suo splendido racconto – un libro è un ordigno che fa esplodere l’immaginazione. E ogni forma di totalitarismo vuole controllare anche l’interiorità dei suoi sudditi. Vuole renderli stupidi. Spegner loro l’immaginazione e piallare in loro ogni guizzo di umanità.

Nel racconto di Bennett, la regina Elisabetta di Inghilterra scopre per caso la sua passione per la lettura. Non ci mette molto a comprendere che il suo compito di sovrana è anche quello di aiutare il suo popolo a pensare, a coltivare l’immaginazione, a osare la sfida della creatività. Ad aprirsi agli ampi orizzonti di domani, radicandosi nella conoscenza della storia di ieri. Elisabetta ha scoperto che la lettura ci rende più aperti, pronti all’ascolto e all’empatia, più capaci di scendere in profondità nelle cose. In una parola, più umani.

Erode soffoca la Parola e calpesta le Scritture. Ne ha il terrore. I Magi, invece, che appartengono ad un altro popolo e conoscono altre Scritture, affrontano con curiosità il rischio del cammino verso il neonato re di Israele. La fede, diceva Chesterton, ha a che fare con il senso dell’avventura: si tratta di calarsi nella “avventura dell’ortodossia”.

Nella letteratura noi cerchiamo il respiro della libertà e dell’immaginazione. Ne abbiamo bisogno per entrare con più consapevolezza ed audacia nell’avventura di diventare più umani. Su questo sentiero è il Signore stesso della vita a spingerci e a invitarci.

Il Signore ci accompagni.

Don Paolo Alliata

Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.

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