Mentre al ritmo del tamburino statunitense anche l’Occidente sembra essersi accorto della tragica situazione mediorientale, nella sua avanzata pressoché indisturbata il Califfato dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) sta travolgendo vite e memorie.
Ricchissima di storia e sede di una delle più antiche comunità cristiane dell’Iraq e dell’intero Medio Oriente, Mossul – nome arabo della biblica Ninive, capitale assira, il cui sito storico sorge di fronte all’attuale centro abitato, sull’altra sponda del Tigri – figura tra le città più gravemente colpite dall’attuale conflitto.
La presenza del Cristianesimo è attestata a Mossul sin dal II secolo. Già luogo delle tombe di alcuni fra i maggiori profeti dell’Antico Testamento, fra i quali Giona e Daniele, la città fu vivace centro di presenza di Cristianesimo nestoriano (oggi santa Chiesa cattolica e apostolica assira d’Oriente), tanto da divenire nel VI secolo sede episcopale. Storicamente, la presenza cristiana si radicò tanto in città quanto nelle aree limitrofe, contando in maggioranza appartenenti alla Chiesa cattolica caldea e a quella cattolica siriana, in gran parte arabi cristiani. Ad essi sono da aggiungere cristiani appartenenti alla Chiesa ortodossa siriaca e a quella Greco-Ortodossa.
La presenza di queste storiche comunità cristiane non venne meno neppure quando, dalla metà del VII secolo, la città entrò stabilmente a far parte del mondo islamico. Da allora, pur con una popolazione musulmana crescente e sempre più maggioritaria, continuarono a convivere a Mossul – non senza tensioni latenti – comunità appartenenti alle diverse religioni. Accanto ad una maggioranza di arabi, curdi e turcomanni, di religione islamica, sino all’avvento dell’Isil erano presenti a Mossul vitali minoranze cristiane, ebraiche e yazidi. Ad oggi, ogni minoranza religiosa in città e nelle aree limitrofe, comprese le comunità cristiano-assire, ebraiche, ma anche quella sciite, è stata soffocata nel sangue.
La presenza cattolica a Mossul si articola principalmente attorno l’Arcieparchia di Mossul dei Caldei (Archieparchia Mausiliensis Chaldaeorum). Comprendente la città di Mossul, con la cattedrale di San Paolo (già oggetto di un attentato nel dicembre 2004), e i territori circostanti, l’arcieparchia è suddivisa in tredici parrocchie e venne eretta canonicamente da Giovanni XXIII il 24 ottobre 1960 (Amoris Nostri). Nel breve elenco dei suoi arcieparchi, Mossul vanta almeno un martire: l’arcieparca Paulos Faraj Rahho, rapito e ucciso nel febbraio 2008.
Anche sul piano architettonico Mossul appare legata alle memorie della sua storia cristiana. Frati dell’ordine dei Predicatori, giunti a Mossul nel 1750 su impulso di Papa Benedetto XIV, diedero un’impronta occidentale – e cattolica – al profilo architettonico della città. Raggiunti nel secolo successivo da alcune consorelle (1873), contribuirono all’edificazione di numerose strutture di pubblica utilità, fra le quali scuole, ospedali, orfanotrofi e laboratori: una stamperia ben avviata per gli uomini e botteghe di sartoria per le giovani ragazze.
Quella tessile è in realtà un’attività – oltre che una vera e propria cultura – legata a Mossul sin dal Medioevo, se si considera che la mussola, insieme alla sua variante più leggera, la mussolina, devono il loro nome proprio alla città di Mossul, dove gli europei incontrarono per la prima volta questi eleganti e rinomati tessuti. Ai laboratori tessili Mossul dovette sin dall’età medievale il suo successo economico e commerciale, che le permise di proporsi come una fra le poche città dell’epoca dotate di un’imponente cinta muraria, di un ospedale (maristan) e di un celebre mercato coperto (qaysariyya). Una floridezza economica che proseguì sino all’età contemporanea, se è vero che la popolazione cittadina, dai 40mila abitanti della fine dell’Ottocento, è arrivata a contare prima del conflitto i 3 milioni di residenti, terza città per popolazione dell’Iraq, dopo Baghdad e Bassora. Mossul è anche sede dell’omonima università, fra i maggiori atenei di ricerca del Medio Oriente.
Tutto ciò, purtroppo, non fa che rendere ancora più grave l’aggressione degli jihadisti, non solo sull’incomparabile piano umano, ma anche su quello culturale. Tra gli obiettivi della sistematica distruzione dei miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi a Mossul e nella circostante regione di Ninive figurano già decine di luoghi di culto, monumenti e manufatti, non solo cristiani. Fra essi spiccano la croce sulla sommità della cupola della cattedrale di Sant’Efrem, la monumentale statua della Vergine Maria presso la chiesa dell’Immacolata, abbattuta e decapitata, la tomba del profeta Giona (Nabī Yūnis), venerato da cristiani e musulmani (risulta distrutta anche l’annessa moschea, luogo caro alla popolazione curda di religione islamica, edificata nel XIX secolo sul sito di un monastero siro-antiochieno molto più antico, i cui resti sono riemersi dopo l’esplosione), così come una tomba indicata essere (ma non è l’unica al mondo) quella del profeta Daniele, il mausoleo di san Giorgio (Nabī Girgīs), patrono di Mosul, anch’esso soggetto di devozione delle comunità cristiane e di parte di quelle islamiche, insieme alla tomba di Set, menzionato nella Bibbia come terzo figlio di Adamo ed Eva e venerato nell’islam come profeta (è invece inserito nel novero dei Padri Progenitori dalle Chiese cristiane orientali). Attualmente, il numero di luoghi santi distrutti dall’Isil nella sola di Mossul supera ampiamente la quarantina. Salvato invece da una rivolta di residenti il minareto pendente (al-Hadbah) accanto alla Grande Moschea di Mossul, fra gli edifici più noti della città, nel mirino dei jihadisti.
Allora chiunque ti vedrà, fuggirà da te
e dirà: “Ninive è distrutta! Chi la compiangerà?
Dove cercherò chi la consoli?”.
– Na 3, 7
Nell’immagine: Vittore Carpaccio, San Giorgio e il drago, 1502, Venezia, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni.
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Il Sismografo
Il mio articolo anche su Il Cortile